Fabio Macagnino

 

Sale a bordo come uno di casa. Come se questa barca e questo equipaggio che lo accoglie fossero il suo mondo, il suo vivere quotidiano. E forse lo sono. Il musicista dalle due anime, così lo abbiamo definito: l’anima Calabrese e quella Mitteleuropea. E’ nato in Germania, ma vive in Calabria, a pochi chilometri da qui dove Mediterranea è ormeggiata al margine estremo del Golfo di Squillace.

“Non pensi che sia un privilegio avere due visuali, due punti di vista così distanti, per osservare il mondo?” partiamo proprio da questo punto, siamo curiosi: “ Sì, ma è anche un fardello” risponde e confessa di aver mal sopportato questo sdoppiamento in passato, perché “io sono uno che cerca la sintesi e il fatto di essere propenso a difendere il modo con cui si intende la vita qui a Sud si scontra e diventa talvolta inconciliabile con il senso di ordine e di bene comune proprio delle popolazioni del Nord Europa.” E’ il racconto di un impegno a lavorare sulle due culture in  maniera sintetica, filosofica, quale rappresentazione complessa e unitaria, non in contrapposizione. Lo stesso impegno dei Greci, come ci illustrò uno dei nostri primi ospiti degli incontri culturali di Atene, il filologo e traduttore Maurizio De Rosa: (…) “E poi la doppia identità, altra cifra della letteratura greca. Doppia natura tra oriente e occidente, ad esempio. Pensiamo ai giannizzeri, che erano guardia imperiale ottomana, ma erano greci convertiti, e spesso dovevano combattere contro i loro compatrioti in rivolta. Pensiamo a una pittrice greca di Hydra, ai tempi della patriota Laskarina Bouboulina, che si traveste da uomo per entrare all’accademia d’arte di Roma. Lei tra l’altro era greca ma albanese di comunità di provenienza, dunque donna che si finge uomo e albanese che vive da greca. E pensiamo anche a Petros Markaris, turco di nascita, greco linguisticamente, perfettamente germanofono per gli studi”. (…)

Doppia identità. Ora non più Oriente-Occidente come in Grecia 10 anni fa, ma Nord-Sud, due sponde di un’Europa che ancora una volta sembra aver dimenticato il Mediterraneo. E Macagnino invece è profondamente mediterraneo. E anche assertivo. Nella sua musica, certamente, ma anche nel suo pensiero. “Io sono Calabrese e io questo lo considero una scelta. Essere nato e cresciuto in Germania mi consente di osservare questo mondo come se fossi un viaggiatore del Settecento, di quelli che facevano il viaggio per l’Europa, e di esserne allo stesso tempo parte. Ho scelto di essere calabrese.” Lo afferma. “E i Calabresi che si percepiscono mediterranei come te, lo sentono il peso della Storia, l’impegno che essa carica sulle spalle della gente mediterranea?” In risposta cita Matvejevic: “Il popolo mediterraneo ha una grande coscienza dell’essere ed una, scarsissima, del fare. Ecco, secondo me questo è particolarmente valido per noi. Siamo orgogliosi, ma il nostro è un orgoglio senza progettualità. Resistiamo, ma senza merito.” Riflettiamo su questa frase, ci guardiamo fra noi. Le parole circolano e ricircolano nelle nostre orecchie. “La Calabria dovrebbe saper sfruttare la propria arretratezza, perché in realtà è arretrata rispetto a modelli che non sono comunque suoi. E allora tanto vale trarne vantaggio! Vivere bene, mangiare bene, amare bene, è qua che lo sappiamo fare!” Ci entusiasmano queste affermazioni, condividiamo la finestra paradisiaca di una Calabria che ha una visione superiore, simile a quel “vivere agro” di Bianciardi, ma cogliamo nel tono un filo di scetticismo, derivante forse dalla parte tedesca della sua doppia anima, come se in sottofondo, come una traccia nascosta, gli suggerisse altro.

“E in questo l’Europa c’entra? Qual è la tua visione su questo?” – “L’Europa deve essere più mediterranea – e non è il primo a dirci questa cosa – ma questa mediterraneità dobbiamo imparare a imporla. Non basta sperare che venga riconosciuta.” E questo sono in pochi a dirlo, forse nessuno ce ne ha parlato in questi termini. E prosegue:  “Viviamo in un mondo anestetizzato e invece lo sdegno è salutare. La passione ci vuole! quella che ti fa esplodere le vene negli occhi… meglio il dolore di un amore non corrisposto che l’assenza di amore” dice citando una sua canzone. E poi aggiunge: “E basta anche con questa pratica di cercare sempre di disinnescare i conflitti, di essere concilianti, di perdonare. Di fronte a un torto, in mancanza di un’ammissione di colpa, il perdono appare come un condono. Il perdono invece presume un’ammissione di responsabilità. E in modo speculare, se ho sbagliato, voglio che mi sia data l’opportunità di chiedere scusa. In questo, lo riconosco, incide la visione protestante della mia parte di formazione tedesca.. Cercare di essere sempre concilianti non è altro che vigliaccheria, ricerca della comodità. Bisogna saper disprezzare con onestà la perfidia e la cattiveria.”

E la tua musica? Da dove nasce la tua ispirazione? Hai dei modelli cui ti riferisci?” Con un tono che quasi sembra volersi scusare, Macagnino dichiara di non aver preso ispirazione dalla musica del Mediterraneo, per esempio quella maghrebina in senso lato, perché i suoi studi si sono sempre concentrati nella ricerca della tradizione territoriale. “I musicisti con cui collaboro hanno tutti studiato con artisti della Tunisia e delle altre aree mediterranee, mentre io mi sono concentrato sugli strumenti della mia terra. La mandola, la lira calabrese… sono strumenti musicali comuni nell’area mediterranea.” Ha studiato all’università di Reggio Calabria “che si chiama Mediterranea” e ha un dottorato in “Pianificazione e progettazione delle città del Mediterraneo”. Ma poi chiosa: “In realtà, non ho, ancora, cercato ispirazione fuori.” Prosegue parlando della lingua e del dialetto e del motivo per cui scrive le sue canzoni anche in dialetto: “Le lingue che dominano il mondo sono lingue tecniche, il dialetto invece è musicale. E non importa se tu non lo parli, è poesia, e la poesia non va spiegata, è un sentire, qualcosa che comprendi dentro. All’estero, alla fine dei concerti, mi dicono: non ho capito una parola, ma ho ricevuto il messaggio, forte e chiaro.”

Sul Diario di Bordo ci lascia in dedica il testo di una sua canzone, in dialetto, e prima di chiudere le pagine ce la recita. E poi prende la chitarra.