Li chiamano i Fatti di Filicudi ed è una delle pagine più belle scritte dal popolo mediterraneo.

Il 24 maggio del 1971 nelle isole Eolie si diffonde la notizia che l’isola di Filicudi è stata prescelta quale luogo di soggiorno obbligato per quindici boss mafiosi. Venti giorni prima, in un agguato senza scampo, in pieno giorno, la mafia aveva assassinato il procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione. Con lui moriva anche il suo autista, Antonino Lo Russo. Si trattava del primo attacco mafioso contro lo Stato, dopo l’omicidio di Emanuele Notarbartolo del 1893. Lo Stato reagì scenograficamente con controlli a tappeto, perquisizioni, arresti etc etc. Componenti di famiglie mafiose “di chiara fama”, per vari motivi già agli arresti o in domicilio coatto in diversi luoghi d’Italia, furono prelevati e trasferiti a Messina. Tra questi, Gaetano Badalamenti e John Bonventre. Da lì, in poche ore avrebbero raggiunto Filicudi, un’isola piccola, lontana dalla costa, luogo ideale per diventare un carcere di massima sicurezza a cielo aperto.La notizia era su tutti i giornali. La popolazione delle Eolie ne fu sconvolta. Improvvisamente, il passato tornava nel futuro. Un passato fatto di luoghi di confino per prigionieri politici italiani e stranieri durante il fascismo e dopo, che aveva stravolto la vita locale, costretta a subire le procedure di sicurezza che la presenza sul territorio di “confinati” comporta. Un incubo che le Eolie non volevano tornare a vivere. In poche ore parte la protesta. La popolazione di Lipari si riversa  sul corso, i negozi chiudono, si alzano cartelli e grida, il sindaco scrive a Roma, le campane delle chiese suonano a distesa. A Filicudi, gli abitanti scendono al porto e alla baia di Pecorini, per presidiarli e impedire lo sbarco dei mafiosi. Il giorno dopo, a Lipari viene indetto d’urgenza un consiglio comunale e poi il 26 maggio, un altro, alle 9:30 del mattino, a Filicudi.Le notizie si fanno più dettagliate, gli abitanti delle isole si organizzano. Partono da Lipari, da Panarea, da Salina e vanno a Filicudi a occupare ogni casa, ogni letto, ogni cucina, perché non ci sia posto per quei quindici indesiderati. L’economia delle isole Eolie era appena ripartita; il turismo aveva appena cominciato a mettere le prime radici, i viaggiatori stranieri, soprattutto francesi, si spostavano da un’isola all’altra, incantati dallo scenario di maestosa bellezza. Come si era potuta fare una scelta tanto scellerata? I filicudari e gli altri che sulle barche e a terra presidiavano il porto e l’approdo di Pecorini non riuscirono tuttavia impedire l’accesso alle motovedette cariche di uomini dei reparti celere venuti dal Continente con caschi scudi manganelli bombe lacrimogene e tenute anti sommossa, addirittura con due mezzi blindati. Sbarcarono in 250, su un’isola senza strade, soltanto mulattiere e viottoli, e si trovarono a fronteggiare una popolazione di pari numero, composta da donne e uomini, bambini e anziani, inermi, a mani nude, uniti dalla volontà di non accettare la convivenza con i mafiosi.Nel frattempo eccoli. L’aliscafo “Freccia del Peloro”, da Messina conduce i quindici capimafia, in giacca e cravatta e scarpe lucide, che in fila indiana sbarcano a Filicudi, controllati a vista non soltanto dalle forze dell’ordine. L’atmosfera si fa incandescente, alcuni consiglieri comunali decidono di restare sull’isola per aiutare la popolazione, mentre il sindaco torna a Lipari per riprendere le trattative con Roma. Gli abitanti si organizzano: sedie, scale, tavoli, sacchi, tavole di legno, qualsiasi mezzo per creare una barricata. Fragile, inutile se si scatenasse l’inferno. Che non si scatena. Per 48 ore i filicudari e gli altri delle isole si fronteggiano con le forze dell’ordine. Chi dorme sulle sedie, chi guarda il mare, chi prepara qualcosa da mangiare, chi scambia due parole con gli altri, chi presidia, chi non molla. E poi le donne: una allunga un po’ di minestra ai poliziotti, un’altra dell’acqua, un’altra una coperta. I mafiosi sono stati sistemati in via provvisoria su materassi e letti di fortuna all’interno di un albergo in costruzione, ma null’altro è possibile fare arrivare sull’isola, se non i generi di conforto che da Lipari gli isolani trasportano in abbondanza. La solidarietà di un’intera comunità.E quindi lo stallo, l’attesa, tutto è fermo. Davide contro Golia, ma anche Golia non sa che fare. Poi all’improvviso un’idea comincia a serpeggiare  tra la popolazione: “vogliono l’isola? e noi gliela diamo.” In poche ore i filicudari svuotano le proprie case, chiudono le cisterne, spengono i generatori e li lucchettano, portano via viveri deperibili e serrano cantine e magazzini, chiudono le case a una a una e a braccia trasportano gli infermi, e vanno al porto. Lì ci sono le barche, proprie e degli altri isolani, ad aspettarli. E se ne vanno. A Lipari, a Salina, a Panarea. Ospiti di amici, parenti e conoscenti, a volte di sconosciuti. Se ne vanno e lasciano l’isola. Vuota, vuota di tutto. Non c’è acqua, non c’è luce, non c’è cibo preparato o da preparare, non ci sono letti e ripari, non ci sono neanche le sigarette. Fichi d’india e acqua di mare, questo è quello che rimane ai mafiosi e alle forze dell’ordine costrette a presidiare il luogo. Persino i mafiosi protestano tramite i loro avvocati. Persino loro, che hanno le mani sporche di sangue e il cuore nero, persino loro, nonostante sull’isola trascorrano giornate tra bagni di mare e di sole. La situazione è insostenibile, “meglio il carcere che qui” dicono.Ci vorrà un mese prima che Roma si decida a trasferire i mafiosi nella colonia agricola penale dell’Asinara, in Sardegna. Trenta giorni in cui un’intera comunità sparsa su un pugno di isole fu protagonista della prima grande protesta in Sicilia contro la mafia. Senza sangue, senza violenza, senza feriti. Ma con due fortissimi alleati: la Natura e la radice mediterranea.Sono trascorsi 50 anni.La storia dei Fatti di Filicudi è raccontata dal grande storico delle isole Eolie, Giuseppe La Greca nel suo libro “Le giornate di Filicudi” [Edizioni del Centro Studi Eoliano, 2011] e nel documentario “Il maggio di Filicudi. Storie di mafia e di turismo nelle isole Eolie degli anni ’70” di Flavia Grita, 2011.