Samsun

(di Simone Perotti)

Anni fa, ero responsabile come General Manager di una filiale di una società statunitense. Ho incontrato periodicamente i miei colleghi, e ogni volta che dovevamo affrontare un problema apparentemente irrisolvibile, era lo spagnolo, o il greco, o il libanese, o il direttore generale turco (o italiano) a trovare una soluzione. Generalmente era una soluzione al di fuori delle policy. Con noi (i mediterranei) intorno al tavolo, era sempre una buona giornata per le soluzioni, ma una brutta giornata per le regole…

Siamo cresciuti tutti in un’epoca che ha visto crescere e consolidarsi l’egemonia pensiero sociale, economico, anglosassone e nordeuropeo. Tutti noi, fin da bambini, siamo stati invitati a guardare a Nord Ovest, verso Berlino, Londra, Boston. Ma facendo questo, abbiamo voltato le spalle al mare.

Facendo questo, i cittadini del Mediterraneo, i fondatori della cultura, del diritto, dei valori di tutta l’umanità, i guardiani del tempo e della conoscenza… hanno abdicato alla costruzione dei propri modelli esistenziali e di vita.

Ovviamente, nella cultura nord-occidentale c’è molta roba buona, e come impone la tradizionale apertura, la curiosità innata, l’umiltà della cultura mediterranea, è molto bello studiarla, conoscerla, prendere ogni scoperta, ogni conquista , e farle proprie. I Romani, i Greci, i Minoici, gli Antichi Egizi… e poi i Genovesi, i Veneti, gli Ottomani, avrebbero fatto così. Erano culture aperte, che assorbivano, arricchivano la loro conoscenza dal contatto col mondo. Ma poi stabilivano, come diceva Pericle, che “Noi ad Atene facciamo così“. I nostri nonni mediterranei hanno sempre ascoltato tutti, hanno preso tutte le cose utili dalle altre persone, ma hanno decidevano per la loro vita a modo loro.

Ricordatevi che il passo dall’essere osservatori curiosi a diventare seguaci acritici è una sconfitta. Ai nostri tempi, quando lavoriamo, come quando viviamo, anche quando mangiamo, spesso proviamo a comportarci in modi che non sono nostri, l’organizzazione stessa del lavoro non è nostra, lo stile del negoziato, della vita… il senso del tempo non è nostro, né quello delle relazioni. Alcuni di noi nascondono persino le loro idee, o il modo in cui affronterebbero un certo argomento.

Se questo serve per mantenere il proprio posto di lavoro, posso capirlo. Ma è e resta una vergogna.

Siamo donne e uomini del Mediterraneo, epigoni di una storia straordinaria. E siamo finalmente, per generazione, nella condizione di capire da dove veniamo, capaci di tessere fili in grado di unire, intrecciare un orgoglio antico che non sarà mai separatista o suprematista, ma unionista, solidale, pacifista. Noi, più di tutti, oggi, dopo millenni di guerre, possiamo e dobbiamo lavorare per la pace, l’integrazione, il dialogo. Noi, più degli altri, il nostro contributo alle sfide del tempo lo aspetta la storia.

Osserviamo in questi mesi che le fondamenta del mondo, organizzate in base ai valori del denaro, del potere, della competizione terminano il lavoro (che non è più uno strumento nobile ma un fine omnicomprensivo, che mette in secondo piano affetti, famiglie, relazioni, perfino il pensiero, lo studio e la creatività) … queste fondamenta… stanno rapidamente crollando. Questo modello ha prodotto generazioni deboli, viziate, incapaci di resistere alle avversità, e ora cerca di recuperare mettendo tutto il suo potere scientifico e tecnologico nell’opera di resistenza all’impatto con la Storia. Presto questo sistema dovrà creare molto più di un vaccino… le conseguenze del modello, ad esempio nella tempesta climatica in arrivo, saranno una sfida molto più grande di un virus.

Già oggi, e ancora di più in quel momento, cari fratelli mediterranei, ci sarà un forte bisogno di ricostruttori, persone che usano l’intelletto per pensare nuovi modelli di vita, ispirati a nuove idee, capaci di creare nuovi spazi abitativi e di aggregazione, nuovi economie, un nuovo rapporto con la dimensione privata, con se stessi e con gli altri.

Forse il tempo in cui il capitale assume i migliori per lavorare, per aumentare il fatturato e acquisire maggiore quota di mercato volge alla fine. Probabilmente, in futuro, i migliori tra di voi, tra di noi, dovranno decidere consapevolmente da che parte vogliono stare, e se i talenti ricevuti, gli studi fatti, le esperienze acquisite, non andranno usati altrove, su altro. Quei talenti vengono dal Mediterraneo, in tutti voi, e non sarebbe male se tornassero ad esso.

Quando ho deciso di visitare tutto il Mediterraneo a vela, sapevo che avrei messo sette anni della mia vita sul tavolo, navigando per 20.000 miglia, in più di ventidue paesi… ma era chiaro nella mia mente che avrei compreso l’importanza di questo continente, come è successo, il suo enorme potenziale, come ho visto con i miei occhi. Ho avuto davanti a me, in centinaia di occasioni, la tipica ospitalità italiana offerta da un turco, o gli occhi sinceri di un greco sul volto di un tunisino, o la mente aperta di un figlio d’Israele espressa dal sorriso di un giovane arabo. Ho visto i Balcani parlare come i georgiani, o come gli spagnoli, un romeno essere nobile e orgoglioso come un cretese. Mi sono sentito a casa in tutti i vostri paesi, alcuni di loro li conosco meglio del mio.

Quando navigavo verso Genova, alla fine del viaggio, solo cinquanta miglia ancora, ho iniziato a ricordare tutte le facce che avevo visto in quegli anni, in ogni angolo del nostro mondo… tutte parole significative pronunciate e ascoltate, e in quel momento ho avuto la visione di una bandiera. Una Bandiera del Mediterraneo, di cui c’era bisogno. Questo luogo di valori, saggezza, conoscenza, è un paradosso vivente: non ancora uno stato unito, ma già una patria. E una patria ha bisogno di una bandiera. Ma una bandiera totalmente diversa da qualsiasi altra. La prima bandiera della storia ad essere issata solo in caso di pace, da ammainare in caso di guerra. La prima bandiera per cui non morirà mai nessuno.

Così ho deciso di fare un concorso, di invitare le persone di tutto il Mediterraneo a disegnare una bandiera e scrivere poche righe con i suoi valori sotto il disegno. Abbiamo ricevuto mille proposte. Poi il mondo online è diventato una giuria e ha votato, migliaia di voti… e il popolo ha deciso la bandiera vincitrice. Una bandiera meravigliosa. Quella bandiera è nostra…

Ora, con i miei colleghi, tutti marinai a bordo di Progetto Mediterranea che ho fondato 7 anni fa, manderò la bandiera a tutti i presidenti dei Paesi del Mediterraneo, da Netanyahu a Macron, da Erdogan a Mattarella, e anche ai leader d’Europa, e scriverò loro una lettera, per ricordargli i grandi doveri che hanno verso tutti noi: unificare il continente mediterraneo, che non sarà mai alternativo all’Europa, solo complementare, né alternativo all’Africa o al Medio Oriente o all’Asia.

Un Mediterraneo Unito non è un’utopia. Quando i primissimi fondatori d’Europa (Rossi e Spinelli, prigionieri su una piccola isola italiana) iniziarono a proiettare il continente unito e scrissero la famosa “Carta di Ventotene”, era il 1943, i nazisti erano dovunque, bombe cadevano su ogni città, milioni di persone morivano.

Quella era un’utopia! Tedeschi, francesi, italiani, greci, inglesi… nello stesso paese.

Ma è successo. Ce l’abbiamo fatta.

Oggi, ogni mattina, una macchina orribile, composta da milioni di dipendenti, dirigenti, aziende, uomini di cultura, giornalisti e politici, inizia il suo lavoro di disintegrazione solo per tenerci tutti separati, per evitare che tutti diventiamo consapevoli della nostra storia, responsabili del nostro destino.

Ma ogni giorno, da millenni, quel terribile leviatano arriva a sera senza esserci riuscito. Usando le parole di un grande scrittore, Mr. Tahar Ben Jelloun: “Ogni mattina, nel Mediterraneo, la vita prevale e trionfa“.

Ma se molti interessi economici, religiosi, politici non sono riusciti, per secoli, a distruggere l’opzione straordinaria del Mediterraneo, la speranza in un futuro in cui potremo vivere uniti, in sicurezza e pace, perché non dovremmo sognare? Perché dovremmo chiamare questo sogno utopia?

Oggi state dando vita a un esperimento, la metafora di un Mediterraneo Unito, come abbiamo fatto noi a bordo di imbarcazione Mediterranea. Voi, lavorando insieme, mostrerete a tutti, ogni giorno, che il Mediterraneo Unito non è un’utopia. Avverrà! E contribuirete così, ogni giorno, non solo al benessere dell’azienda per cui lavorate, non solo alla crescita del vostro portafoglio o del benessere della vostra famiglia, ma alla crescita del nostro mondo comune.

Mi auguro e auguro a tutti voi, ogni giorno, che VOI siate la “VITA” a cui si riferiva Tahar Ben-Jellun in quel passo. E che lavorerete per aiutare sempre l’umanità a emergere e avere la meglio, ogni mattina.

(Intervento di Simone Perotti all’assemblea di inizio anno della Dassault Systemes – Divisione EuroMed il 19 gennaio 2020)