IMG 0207

 

 

(di Francesca Piro)

Riace è un puntino sulla carta geografica dell’Italia. Un puntino ai piedi delle Serre Calabresi, sul versante ionico di una regione che Guido Piovene ha descritto nel suo “Viaggio in Italia” come “una mescolanza di mondi”, perché la montagna – sempre erta, ripida e imponente dall’Aspromonte, alle Serre e la Sila – arriva, quasi precipitando, fin dentro l’acqua che bagna la costa e la divide e la frammenta e la rende, per alcuni aspetti, inaccessibile. Ecco, non è facile arrivare a Riace.

A Riace non ci vai se non hai un motivo più che valido. O almeno, non ci vai se non appositamente. E in questi anni pochi hanno avuto in animo di andare a Riace. Passata la sbornia del ritrovamento dei Bronzi nel 1972, fino a un paio di anni fa erano pochissimi in Italia a conoscere dove fosse precisamente Riace.

Poi ad un tratto nel 2016, un’ispezione della Prefettura di Reggio di Calabria evidenzia “alcune criticità amministrative” nel Comune. Nel 2017 parte l’indagine della procura di Locri nei confronti del sindaco Domenico Lucano che dal 2 ottobre 2018 è agli arresti domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – si parla di un matrimonio combinato tra una migrante e un residente, per ottenere il visto – e di affidamento fraudolento del servizio di raccolta di rifiuti.

Mimmo ‘u curdu. Mimmo il curdo. Lo chiamano così da quando nel 1998 cominciò a darsi da fare per trovare una sistemazione dignitosa a un gruppo di curdi sbarcato sulla spiaggia di Riace Marina. Erano scappati dalla Siria e dalla Turchia. E nel cercare una sistemazione per quella gente in fuga, che non fosse una caserma in disuso o un palazzo fatiscente, Mimmo ha un’idea: perché non usare le case di quelle famiglie di Riace che sono partite tanto tempo fa per il Canada e per il Sudamerica e che hanno abbandonato le loro abitazioni senza mai più tornare? Anche il paese, infatti, come i tanti dell’Appennino centrale, ha subito gli effetti dell’emigrazione. La gente ha lasciato le case per andare a vivere in città, sulla costa, spesso anche in un altro Paese, lontano, oltreoceano. Quelle abitazioni sono rimaste vuote, abbandonate, senza vita. L’uomo vede l’idea trasformarsi in sogno: Pensa, sarebbe bello se… Si muove, si dà da fare, cerca, domanda, s’informa. Scopre che ci sono degli eredi, che con molti di loro si può parlare anche al telefono. Chiama, chiede, ottiene l’assenso e in poco tempo le case tornano a vivere di voci, colori, odori di nuova gente. Migranti anche loro. Chi era andato via aveva lasciato spazio per chi arrivava con tutta la propria vita in una valigia. Un bene privato diventava un bene comune per IL bene comune.

Ecco il sogno di Mimmo Lucano farsi progetto. Ecco l’adesione del Comune di Riace allo SPRAR, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati che nasce proprio in quegli anni, tra il 1999 e il 2002. In 20 anni, il paese torna alla vita. I migranti sono di tante nazionalità – vengono dal Centro Africa e dal Medio Oriente – e ad oggi il paesino ne ospita circa 600, ma dal 1998 da qui ne sono passati oltre 3000.

Il progetto di Mimmo Lucano è oggi diventato “modello d’integrazione”, perché chi viene accolto a Riace, viene coinvolto, “per evitare che per loro non vi sia posto” – dice il sindaco in una vecchia intervista. I migranti hanno ripreso in mano le attività di un tempo, hanno bonificato e coltivato i campi, ripulito le case, ristrutturato il paese, aperto botteghe e laboratori, bar e locande. Andate a leggere come questo sia stato possibile, con quali strumenti, seguendo quale iter burocratico e amministrativo. Nell’Italia dove il normale appare spesso impossibile, lo straordinario diventa possibile. C’è stata integrazione. In poco tempo l’ospite straniero è diventato parte della comunità rurale di Riace e tassello di un’economia finalmente in crescita.

Qualcuno, tra coloro che oggi lo criticano e lo osteggiano, ha definito Mimmo Lucano “uno ZERO”. Ecco lo zero, signori, la cifra del niente, quella con cui in realtà puoi numerare l’infinito. Hanno detto “la legge è legge, sulla cosa pubblica non puoi fare come ti pare“. Vero. E tutti, con chiunque si parli in paese e fuori, in Calabria, a Reggio, sul pullman che ci portava lì e in auto con amici appena conosciuti, sono concordi nel dire che la magistratura deve fare il suo corso, che saranno i giudici, i magistrati, gli avvocati e i tecnici a dire di quanto e come Lucano ha sbagliato. Ma il perché, il motivo per cui Mimmo Lucano ha coscientemente sbagliato, ecco quello forse lo sappiamo già. In quegli atti, ritenuti illeciti nell’ordinanza di arresto, si riconosce quella disobbedienza civile che ha mosso le suffragette per il diritto di voto, le donne degli anni’70 per la legge sull’aborto, i Mandela, i Gandhi, le Rosa Parks, i Martin Luther King contro l’apartheid e tutti coloro che oggi si oppongono, pubblicamente, a leggi considerate ingiuste o lesive della dignità umana. 

Riace non era sulla rotta di Mediterranea quando lo scorso anno siamo passati lungo la costa ionica calabrese, ma l’incontro con il sindaco di Riace, paese dell’accoglienza, era stato soltanto rimandato. Non pensavamo, però, che sarebbe accaduto così presto. L’occasione è stata la manifestazione organizzata nel paese nei giorni successivi alla disposizione di arresto ai domiciliari.

(…) Io dunque non posso che stare con Mimmo Lucano, che mentre tutti guardano il dito, punta dritto alla luna.  Le lacrime e la disperazione di centinaia di suoi concittadini la dicono lunga su chi sia e cosa abbia fatto fin qui. Epoche di grande sofferenza come l’attuale hanno bisogno di chi sia in grado di lenirne i dolori. Anche io, come Mimmo, preferirò sempre i sogni, l’azione efficace, alle paure e alle burocrazie, per leggere la gioia sul viso di chi gode di ciò che è costato fatica e pericolo. Che si rischi, nella vita, sempre! Che ci si sporchi le mani con il magma mai troppo lindo del superamento del limite. Sempre. [Simone Perotti]

Il 6 ottobre 2018, dunque, noi c’eravamo. Il paese dell’accoglienza era pieno di bandiere, canti, cori. Tanta gente, oltre 5000 persone, tanti giovani, ma anche tante persone anziane e famiglie con i bambini. Abbiamo visto una coppia con un neonato, una signora arrivare lenta con le grucce, tanti extracomunitari, c’erano i braccianti di Rosarno, e poi i collettivi sindacali e le bandiere dei partiti della sinistra di base, certo, ma c’era la gente, quella comune, quella che incontri al bar quando prendi un caffè. E abbiamo visto un parco-giochi, con gli scivoli, la giostrina, le altalene. (Quale paese nascosto nell’Appennino centrale ha un parco-giochi?). E seguendo il corteo, che dalla piazza davanti al Municipio ha raggiunto la casa del sindaco, sotto la pioggia che si era fatta battente, abbiamo ascoltato i commenti e i racconti di chi c’era quando Riace era un paese morto e di chi lo ha visto rinascere e adesso non vuole rinunciare a un sogno reso possibile dalla caparbia tenacia di uno.

Non siamo contro magistratura – si urla al megafono – noi non siamo contro la legge… Noi siamo qui per difendere il modello Riace, siamo qui con chi ha reso possibile che Riace arrivasse al centro dell’Europa e del mondo, siamo qui perché c’era un’idea centrale e si stava svolgendo un esperimento sociale per costruire le città del domani”. Parte “bella ciao”, partono i cori. Il sindaco, agli arresti domiciliari e sospeso dalle sue funzioni, si affaccia alla finestra, saluta con la mano, le dita aperte a ventaglio come fanno i bambini, sorride a tratti, poi si commuove. La strada è piena ovunque, anche nelle traverse laterali, tra ombrelli e bandiere, è un tappeto di colori. Sorride Mimmo e sventola la mano. Poi chiude il pugno e serra forte i muscoli del braccio.