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(di Simone Perotti)

In queste settimane, e prima da maggio, ho navigato in Atlantico e per per mezzo Mediterraneo. Portogallo, Spagna esterna, Mare di Alboran, Bacino Algerino-Provenzale, Canale di Sardegna, Canale di Sicilia, Tirreno Meridionale. Mal contate, trecentocinquanta miglia in oceano e milleduecento dentro Gibilterra. Ho incontrato tanta gente, a bordo e sul molo. Sono vissuto nei porti, nelle rade solitarie, nei canali dove il vento accelera, dove si narrano storie che… Corto Maltese, Giasone, Ulisse, Attilio Regolo, Andrea Doria, Colombo, Caboto, Dragut Rais, Curtogoli, Occhialì, Nino Bixio, Garibaldi, Diaz, Magellano, Da Gama, Vespucci, Verrazzano, sempre nella mente, e con loro infiniti altri maestri del viaggio per mare.

Ho navigato con l’umiltà di cui sono stato capace, e con il garbo che si deve a una vecchia e nobile barca, a un antico mare. Non ho preso rischi inutili, e quelli che ho assunto erano commisurati al motivo e ai mezzi che avevo per affrontarli. Ho dovuto risolvere problemi, qualche volta tenere duro per la stanchezza o il disagio. Ho riso tanto, parlato e ascoltato tanto, e mi pare che, come sempre, il mare mi abbia insegnato molto di più, senza neppure dire una parola. Tra noi il bilancio è sempre a mio debito.

Ho visto l’Africa, la Spagna andalusa, la Catalogna delle Baleari, la Sardegna genovese, la Genova tunisina, il Maghreb, la Sicilia occidentale del tonno e dei Cartaginesi. In molti tratti ho “visto”, e dovunque, come al solito, ho immaginato. Il mare è causa di visioni, prefigurazioni. In nessun luogo come sul mare si vede bene la terraferma e vengono a galla i progetti, si delineano a mente le soluzioni possibili. Soluzioni che hanno quasi sempre a che fare con ciò di cui ha bisogno l’anima per fare un passo ancora. Verso dove, non è dato saperlo. Direi là, o là, dove deve.

Ho vissuto l’ebbrezza, quella che ti fa trasalire, ti fa dire parole importanti. Pensare cose grosse. L’ho condivisa, l’ebbrezza, con gli “amici per un’ora” e gli “amici di sempre”, e a distanza anche con gli altri, quelli che vorrei sempre a bordo, e che invece non ci sono mai. Ho danzato in mare aperto, di notte, ho cucinato tanto, alcune cose buonissime, ho pescato, sfilettato, impanato, fritto, saltato. Da Lisbona a Palermo ho disegnato una linea spezzata a forma di onda, che scende, poi risale, poi scende, poi…

La rotta su Genova prosegue. Il tenace viaggio della barca parlante  va avanti. Il mare ci aspetta, sempre, purché siamo in grado di attendere che apra le braccia. Il grande amore è lui. Quello che, finito tutto, sta sempre, ancora, ancora e ancora lì.