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 (di Simone Perotti)

“Impossibile”. Risponde con certezza la scrittrice, giornalista e blogger Ayfer Tuzcu Unsal alla mia domanda su quale sia, se esiste, un profumo riassuntivo ed emblematico della Turchia. Lo stesso accade quando le chiedo se esista un sapore, in cui potrebbe racchiudere i sapori del suo paese. “L’Anatolia è un luogo di transito, un passaggio, lo è da sempre. Qui ognuno ha lasciato sapori, odori, sensazioni, ipotesi. Anche per questo adoro questo Paese”.

Chi vi ha influenzato di più? “Tanti, tantissimi. Il bulgur, ad esempio, è ittita quasi certamente, ma furono i cristiani a farne il loro alimento principe. Dunque di chi è? Chi ha influenzato chi? Oggi è uno dei due piatti più tipici della Turchia dell’est (in quella dell’ovest sono le verdure), ma possiamo dire che sia turco? Se pensiamo alla Turchia come a un luogo di meticciato, sì. E ancora, il kahi, piatto babilonese, ma anche ebreo e anche greco, simile alla baklava, è turco? A me pare che andrebbe definito mediterraneo”.

Mi accorgo da giorni che definire quel che è turco e quel che non lo è, è praticamente impossibile. Molti pensano che la maggiore influenza su questa cultura anatolica l’abbiano avuta gli arabi, ma la Unsal è certa: “Non è così”. L’Anatolia ha generato un suo mondo di sapori, un suo pentagramma sensoriale, una sua propria identità, e lo ha fatto nel modo più mediterraneo che ci sia: associando diversità. “I greci, ad esempio, ma anche il mondo ebraico. La cucina ottomana, di cui si sente spesso parlare… non sappiamo niente su di essa. Nel Palazzo (Topkapi ndr) non scrivevano le ricette, ma scrivevano gli ingredienti. Quelli sì che li conosciamo! E da essi possiamo dedurre molto. Ma non abbiamo ricette originali della gastronomia ottomana. Quel che molti spacciano per ottomano, in realtà viene da un testo di Bagdhad dell’XI secolo, che certamente ha dentro cose che ci riguardano, perché si riferiva a una cultura dell’epoca che ci ha raggiunti, ma non è una fonte per la cucina ottomana. E questo, che a tutti pare una tragedia documentale, in realtà lo trovo splendido. Un mistero!”

Cerco di estorcerle comunque qualche punto di riferimento. Le spiego che Jean-Claud Izzo scrisse “Aglio, basilico e menta” per tentare di definire i profumi e sapori-chiave del Mediterraneo visti dalla prospettiva di Marsiglia, di cui è il sommo poeta. Guardando il Mediterraneo con la lente turca quali tre sapori indicherebbe? Stavolta si fa tentare. Ci pensa un po’. Poi elenca: “Pepe rosso, anche se veniva dalle Americhe; basilico rosso, che è della zona egea, e la menta, che invece è del sud-est, da dove vengo io”. 

Il nostro dialogo si infiamma di riferimenti al coriandolo (“pochi lo conoscono e usano fresco in Turchia, ma è nostro quanto altre sostanze”), alla melanzana (“viene dall’India, ma le migliori sono quelle della sponda sud dell’Eufrate, e sono anch’esse uno dei nostri vegetali più diffusi e amati”) o il burro chiarificato (“che però noi otteniamo dallo yogurt”). “Certo è – dice ancora – che se io non metto in comune con altri non imparo. Credo che molti la pensino così dall’alba dei tempi, nel nostro Mediterraneo”.

Il centro della gastronomia dell’Anatolia, in ogni caso, mi pare essere il sud-est, almeno seguendo i racconti di Ayfer. “Sa che sul mar Nero mangiamo anche il pesce crudo? Pochi lo sanno. Le acciughe marinate, ad esempio” e io non riesco a non vederci una contaminazione da passaggio di genovesi, che lì hanno navigato secoli fa. “Oh sì Genova è dovunque qui! Dalla torre di Galàta qui accanto, fino all’Anatolia sud occidentale, dove Genova è dovunque, nel cibo, nelle parole, nei castelli sul mare. Chissà che la parola “mangiare” non venga da pancar (pronuncia panciar, corrisponde alla rapa rossa ndr), ad esempio. Così come la parola alic, che ricorda tanto le nostre alici, penso io.

Parliamo anche di cucina italiana, ancora poco conosciuta (“e qui è pessima”), di scuole di cucina (“qui ce ne sono solo da poco tempo. E sono molto critica, perché i programmi sono presi dalla cucina francese, ma che senso ha?!”), e di quando insegna gastronomia ai suoi giovani: “tutti mi chiedono: ‘come si fa la salsa di questo piatto?’. Ma non c’è nessuna salsa! In Turchia non ci sono salse! La salsa è dentro la ricetta!”. Ora si capisce anche meglio cosa intende quando parla dei programmi presi a prestito dalla cucina transalpina. E io condivido assai.

Ci salutiamo con un abbraccio. Dopodomani ceneremo insieme a casa sua. E credo sarà una splendida serata. 

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