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(di Simone Perotti)

Paris Sigalas è uno di quegli uomini cui madre Natura ha offerto la migliore delle chance: un sorriso sempre dipinto, una smorfia leggera, la bocca rivolta verso l’alto, come se ogni cosa fosse una dolce sorpresa. E gli occhi: umidi e scintillanti, come di chi si meraviglia spesso. “Non trovavo il molo…” ci dice, quasi per scusarsi, appena arriva a bordo.

Non serve dirgli di togliersi le scarpe, vive in un’isola, sa le cose del mare. Si siede in pozzetto e gli offriamo del vino. Lui guarda la bottiglia: “Sapete cosa vuol dire il nome di questo vino? ‘Kanenas’, è la risposta di Ulisse a Polifemo, che gli chiede chi l’abbia accecato. Nessuno, così che gli altri ciclopi non possano sapere su chi scatenare la loro rabbia. Molto arguto”. E anche Sigalas ha lo sguardo svelto, da levantino, uomo delle isole. Vive a Santorini, anche se è nato qui “proprio lì dietro, al Pireo, qui sono cresciuto”. Punta di malinconia, ma subito si riprende. “Ho viaggiato, Francia, soprattutto, negli anni della contestazione. Che begli anni, pieni di speranze. Tornare, andare avanti quando tutto cambia, non è mai semplice”.

E cosa ha fatto dopo Paris Sigalas? “Io sono un matematico, ho studiato alla Sorbona. Mi piaceva molto la classe. Era come un teatro, si faceva spettacolo, col pubblico e tutto il resto. La matematica mi piace molto, siamo figli di Euclide”. E dopo che è successo? Si è messo a fare il vino, per di più su un’isola. “Santorini, la provenienza della mia famiglia. Il padre di mio nonno aveva preso delle terre, c’era una casa. Un richiamo, forse, o la voglia di cambiare completamente dalla matematica. Chissà…”

Parlaci della tua isola e del tuo amore, il vino. “Santorini  è tutta coltivabile, la terra è ricca, vulcanica, acido e basico mescolati per dare il meglio. Ci sono vitigni autoctoni, tra i pochissimi al mondo che non sono mai stati innestati, perché la filossera, che ha stravolto la viticultura in tutto il mondo, lì non è mai arrivata. Un’isola felice, al riparo da tutto, lontana”.

Del suo bianco di Santorini, l’Assyrtiko tradizionale rivisitato e reso migliore, si parla in tutto il mondo, è considerato il meglio dell’isola, ha estimatori negli USA, gli esperti lo conoscono. Con il suo 40% di export è uno degli artefici della rinascita del vino greco, 300.000 bottiglie per 25 ettari di terra. “Ma in molti appezzamenti sono sotto le 7.000 bottiglie per ettaro” che è la media di chi guarda alla qualità. “La cantina sociale segue le vecchie e antiche metodologie, ottime e rispettabilissime, ad esempio usano il vitigno come uvaggio. Ma occorre anche andare avanti, sperimentare nuove strade. Io l’ho studiato in purezza, per vedere cosa poteva esprimere. Antico è bello, sempre, ma non tutto ciò che è vecchio va mantenuto tale. Quel vecchio un giorno non c’era, qualcuno lo ha inventato, e quel giorno s’è fatta ricerca, si sono tentate nuove strade. Il primo insegnamento dell’antichità è il coraggio di tentare, di sperimentare. Ed è quello che ho fatto, processi produttivi, metodi di vinificazione, l’antico mantenuto, mescolato a qualcosa che possa migliorare il prodotto del lavoro della terra. E il risultato si vede”. Ci documentiamo un po’. Pare effettivamente che la sua linea più giovane sia fresca, ricca di sapori di agrumi, mentre quella che si affina nelle barriques (Kavalieros) sviluppi sapori più complessi. Roba da esperti.

Qualcuno ha mugugnato? “Ma certo, come sempre accade, anche se poi quando fai quel che devi, con impegno, finisci con l’esser capito, almeno a lungo andare. Anche perché voglio fare ancora molte cose nuove”. Ci parla del vin santo, il cui corrispettivo toscano verrebbe proprio da Santorini. Contaminazioni, storie che si ripetono. Con lui non parlo della crisi. Per una sera voglio godermi un uomo che dalla matematica è tornato alla terra, su un’isola, innamorato del vino