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(di Simone Perotti)

“Bisogna fare in modo di vivere senza denaro, con la minore quantità possibile. Adesso Basta”. Alzo gli occhi e lo guardo. Come dici scusa? “Ma sì, basta vivere con al centro il denaro. Io facevo colonne sonore, spot, musiche per film. 

Ed ero anche direttore di un centro culturale molto importante. Stavo piuttosto bene, anche in piena crisi. Ma quattro anni fa ho lasciato tutto per vivere diversamente, perché non poteva bastare la mia famiglia, c’era un mondo intorno, la società intera, e bisognava fare qualcosa di diverso”.

Ascolto Marios Strofalis con la bocca semiaperta, un po’ imbambolato, preso contropiede. Per quel che ne sapevo ero venuto qui nel centro di Atene per incontrare un attivista volontario con idee sulla musica per tutti, uno che aiutava i musicisti in crisi. Mi trovo invece davanti un quarantacinquenne con gli occhi profondi e attenti, un tipo anche un po’ naif, se si vuole, ma un volto luminoso, dotato di aura, e soprattutto un downshifter che mi fa il verso, che parla di un nuovo modello di aggregazione. “Mi sono detto: ok, io metto sul tavolo dieci concerti gratuiti. Vediamo che succede”.

La parola gratuità, lo penso da anni, esprime il concetto del futuro. Dove tutto ha un costo, solo il denaro ha valore, dunque nulla conta. “Io voglio costruire un’altra economia, che non sia alternativa, ma possa coesistere con l’economia reale”. Ecco.

Due anni per elaborare, poi altri due per agire. “Siamo in cinquecento, quelli del nocciolo duro, musicisti, performers, attori, cineasti, gente di cultura. Intorno ne abbiamo duemila, li chiamo i simpatizzanti, che però ogni volta devo convincere”. Attorno all’Athens Art Network, Strofalis ha raccolto i musicisti che nessuno pagava più, le prime vittime della crisi, convincendoli che, niente per niente, tanto valeva suonare nelle piazze, nei parcheggi abbandonati, nelle vie, dovunque. Gratuitamente. “Quando ti muovi capita sempre qualcosa, anche cose per cui puoi guadagnare. Ma ti devi alzare, muovere, e devi fare qualcosa di nuovo, per realizzare una nuova società”. Da questa utopia concreta sono nati l’Athens Garden Festival, la Piccola Parigi, e un gran numero di azioni spot, di performance di strada, in cui coinvolgere soprattutto i protagonisti, poi anche il pubblico. “Se io ti faccio suonare, se io mi metto a dialogare con Italia, Spagna e Francia per realizzare anche delle piattaforme internazionali, che ti danno visibilità, che ti consentono di far girare la tua musica, non sarà meglio di qualunque immobilismo, o che finisci a fare il cameriere?” Sì, ma poi uno come mangia? Mi ritrovo a fare le domande che facevano a me, strana la vita. “Con il baratto. Musica per patate, artigiani che barattano lavori per cibo, venditori di verdure che danno insalata per servizi. Io sogno un mondo che si organizzi senza denaro, col baratto. E secondo una stima minima, abbastanza conservativa, si può fare per più del quaranta per cento dei costi. Organizzandosi bene. Serve metodo e concretezza”. Naif ma anche solido, anche se l’apparato teorico pare un po’ debole. Se capisco bene il tutto nasce dalla crisi, dunque dalla necessità. E con l’eventuale ripresa economica? Si fa un po’ meno allegro, quasi scuro in volto. “Spero che l’associazione rimanga, in quel caso, che non muoia tutto. Sono sicuro che qualcosa resterebbe perché è giusto”. Bravo Strofalis, una risposta debole, ma l’unica possibile, l’unica giusta.

Il segreto è una grande banca nazionale del tempo. Gente che vive con poco, solo il necessario, e per il resto baratta, dà in cambio di ciò che riceve, mette a disposizione quel che sa fare. Spinge il denaro nell’angolo, e smette di essere schiava”.

Che ti hanno detto quando hai tirato fuori queste belle idee di downshifting Marios? “Mi hanno attaccato, ovviamente. Mi hanno detto che ero un borghese che pontificava avendo le spalle coperte. La sinistra soprattutto. Ma sanno che ho ragione. Qualcuno ha un’idea migliore, immediata, di prospettiva, che serva a qualcosa di strutturale? Non mi pare”. Come sono d’accordo.

Nella città c’è un tesoro…” E cosa c’è nel forziere Marios? “La gente! La gente è il tesoro, non sono solo schiavi consumatori. I loro talenti sono il tesoro!” Così mi commuovo.

“Nel Mediterraneo c’è il tesoro, nell’identità meticcia e ricca di questa parte di mondo c’è il tesoro. La cultura del Mediterraneo è il tesoro. Non si può prescindere da questo. La reazione è lenta, questo lo so. Ma non c’è soluzione alternativa”.

E se un musicista trova lavoro che fa, vi abbandona? Non credi che le cose per necessità siano deboli, che vadano scelte su altre basi? “E’ vero, ma se creiamo opportunità, se ci facciamo venire delle idee, se le realizziamo concretamente, in modo autonomo, poi bisogna vedere cosa è meglio fare, quale lavoro offre più chance, maggiori opportunità. Non credi? E’ una questione di qualità, di merito”. Giusta ambizione: quel che oggi non ti rende nulla, domani potrebbe essere comunque importante, far nascere altro. “Quando c’è la possibilità di suonare con qualcuno che ci paga o ci offre qualcosa, non diciamo mica di no! Magari un’euro del biglietto va all’associazione, dopo aver pagato tutti i costi, però ben venga! Il fatto è che il vero valore aggiunto è l’energia che stiamo creando, è questa la forza che mi fa dire che riusciremo a costruire un nuovo mondo e una nuova economia”.

Sai che far cambiare le abitudini della gente è difficile, Marios. Un esercito di consumatori non lo cambi schioccando le dita a ritmo di jazz. “Lo so. Per questo dobbiamo coinvolgere altre associazioni, costruire un network con altri paesi del Mediterraneo. E lo facciamo anche per il capitalismo”. Prego?!

“Ma certo. Il capitalismo può sopravvivere se fa i conti con i minori guadagni che lo aspettano. Deve scendere a patti, meglio poco che niente. Senza coesistenza scoppia tutto, e l’occidente è spacciato. E allora addio capitalismo, consumi, shopping, carte di credito. Saranno obbligati a capire che il sistema sociale così non può durare. Questa è una rivoluzione, ma obbligata”.

L’analisi mi pare un po’ ballerina. Il capitalismo adora i break down, adora i default, adora le guerre. Mi pare che come macroeconomista Mario valga meno che come sognatore, ma devo anche ammettere che in questo mondo c’è più bisogno di questi che di quelli, dunque voto per Marios. Tra l’altro aggiunge qualcosa che condivido integralmente: “E poi sai, noi non siamo tanto adatti a costruire azioni di protesta, manifestazioni. Come la pensi non si deve vedere da quello che dici, che urli, ma da quello che fai”. Applauso.

Gli chiedo cosa pensi delle decisioni del governo greco di vendere spiagge, isole, territori immensi e protetti, se il suo movimento, la sua associazione, saranno attivi a riguardo. Mi pare certamente d’accordo con la condanna di queste pratiche, ma è freddo. Dell’ambiente non dice molto. La sua associazione è del tutto metropolitana, si occupa di migranti, disoccupati, tutti quelli che con l’insorgenza dei problemi hanno sviluppato gli anticorpi del fascismo. “Sembra quasi che l’abbiano fatto apposta” A fare che? “A generare tutte queste diseguaglianze, questi squilibri. Per generare, produrre fascismo e intolleranza. Quando noi abbiamo ideato la Piccola Parigi, cioè un pezzo di città che ha un progetto, in cui avviene qualcosa dovunque, ogni momento, coinvolgendo decine, centinaia, migliaia di persone, abbiamo fatto quel che mai era stato fatto per il quartiere. E così, infatti, abbiamo fatto muro contro i fascisti. Noi, concretamente, in modo positivo, senza scontri, pacificamente, costruendo le basi per qualcosa di ben più ambizioso”.

Pranziamo insieme, ci diciamo ancora molte cose. Bella faccia questo Marios Strofalis, belle idee, forse un po’ naif, forse un po’ poco corroborate da struttura ed elaborazione intellettuale, ma vere, concrete, e c’è da scommetterci, d’impatto.Ci diciamo ancora molte cose. Questo bar è casa sua, tutti lo conoscono. La barista ci dice che c’è molta crisi “Vedete? Quanta gente seduta ai tavolini, eh?! Nessuno paga, segniamo tutto su un foglio. Un giorno, forse, salderanno il conto”. La Grecia che si muove, ai tempi della crisi.