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(di Simone Perotti)

Mi piacerebbe mostrarvi Kafka, nome d’arte di Katerina Kafentzi, ma lei non vuole essere ripresa, fotografata. Se mettete il suo nome su Google pare che vengano fuori una o due foto al massimo. Le chiedo perché, lei mi risponde citando artisti di fama con cui è stata in contatto, tutta gente schiva che non amava mostrare il proprio vero volto.

E aggiunge un piccolo mantra che ripeterà molte volte durante il nostro dialogo: “C’è molto da fare, ogni giorno, senza improvvisare, con cura, lavorando seriamente”, come a dire: basta con l’immagine, torniamo alla sostanza. 

Eppure mi piacerebbe mostrarvela, Kafka, perché è il volto nuovo di Atene, perché ha una presenza magnetica, e anche perché è una splendida donna, lunghi capelli scuri, alta, movenze sensuali senza alcuna ostentazione. Una persona dotata di fascino, insomma, o se volete di un’aura, fattore non comune in questo mondo di pose artificiali senza alcun supporto interiore. E’ il boss produttivo editoriale di En Lefko 87.7, una radio “per gente che non si vuole conformare”. Curioso posizionamento, di cui chiedo lumi. “Noi vogliamo parlare alla gente quando è sola nella propria stanza, dunque quando è vera, quando non soggiace alle convenzioni e alle sovrastrutture”. Di per sé potrei comprendere facilmente, anche se Kafka, molto concretamente, aggiunge: “Il proprietario della radio vuole indietro i soldi che investe, e ha ragione. Ecco perché dobbiamo essere originali, fare ogni giorno qualcosa di più”. Quando qualcuno mette in relazione la realpolitik con la creatività, mi sento a casa.

Kafka, che genere di radio è la vostra, raccontacela: “non so se facciamo informazione, intrattenimento, comunicazione… forse un po’ tutte queste cose insieme. I nostri format vanno dalla musica ai reading di grandi testi letterari…”. Scusa, fate soldi leggendo Proust? “E’ il nostro programma di punta, l’autore è un settantenne con grande carisma, molto innovativo”. Sempre più interessante, e allora voglio la sua opinione sulla situazione greca, subito. “La crisi è un elemento fuorviante. C’è molta meno crisi qui che dovunque nel mondo. Tornavo da Los Angeles, qualche tempo fa, e come sono sbarcata al Venizelos ho avuto una vampata di orgoglio di essere greca. Ma non certo per motivi di nazionalismo. Qui nessuno dorme in macchina, o mangia mentre guida perché non ha tempo, o lavora al computer mentre mangia e guida in macchina. Qui la gente dopo i 25 anni sta ancora iniziando a vivere, mentre oltreoceano è già bruciata e fuori dal business. Qui sappiamo ancora cosa è e quanto vale il tempo”. Il tempo, lo stesso splendido tempo che scorre rapido sopra di noi mentre chiacchieriamo nel pozzetto di Mediterranea,  ormeggiata a Zea Marina, Pasalimani, Pireus. “Il nostro modello mediterraneo è vincente, ma in modo eclatante. E non lo dico perché sono una privilegiata, io allevo ed educo un bambino di otto anni, e ogni giorno mi faccio il mazzo, come si dice volgarmente, tutto con le mie braccia, le mie gambe, la mia testa”. La domanda sulla sua possibile posizione di privilegio, un po’ provocatoria, sono felice di averla fatta, data la risposta d’orgoglio. “Qui è pieno d’opportunità, per chi vuole alzare il culo e darsi da fare. Se fai quello che ti piace e lo fai con cura, con impegno, con determinazione, ce la fai”.

Accanto a Kafka c’è George Bakalakos, un trentenne che lei ha voluto farci conoscere perché è un autentico talento musicale, ed ha uno dei format più fortunati della sua radio. Il ragazzo ha uno sguardo molto vispo, si vede che va veloce, e interviene nel discorso con acume: “E’ una questione di equilibrio. Ci sono cose che devi fare, ostacoli che devi superare, ma poi c’è quello che ami davvero, che senti tuo, e lo devi fare. L’alternativa è seguire e basta, a meno che non decidi di pensare con la tua testa. Cosa ci inculcano a scuola, all’università? il solito vecchio schema. Però gli schemi vanno abbandonati”. Un trentenne bravo, che eccelle nel suo campo, e anche saggio. Ma che covo di gente evoluta è En Lefko78.8?

Non siamo gli unici che parlano in questo modo della crisi. C’è gente che ci prova. La crisi ha svegliato gli animi, la gente comunica, si dà da fare. Io non ho soluzioni, naturalmente, ho solo ipotesi. Però io ogni giorno cerco di fare di mio figlio un uomo come si deve, e poi cerco di fare io qualcosa di buono con me. Il mio modo è lavorare, ogni giorno, fare di questa radio una radio contro la normalità e il conformismo. Linguaggio, temi, toni, format, messaggi nuovi, che consentano anche ad altri le domande che sono necessarie. La gente infatti ci chiede, ci scrive, è incuriosita dalle nostre scelte musicali, segue quello che cerchiamo”.

E cosa cercate? “La nostra musica, quella dei tanti, tantissimi musicisti che fanno ricerca, bravissimi, che hanno idee locali, ma preziose per tutto il mondo. E gli investitori ci premiano. Abbiamo il 5,4% di share, che non è cosa da poco. Ma non siamo come tutte le altre radio che mandano una playlist preconfezionata dalle major. Facciamo eventi pubblici, riempiamo il museo di arte contemporanea di musica e di gente come non ne hanno mai vista. Qui accadono molte cose. Non voglio fare paragoni con altri luoghi del mondo. Noi siamo qui, siamo in Grecia, siamo nel Mediterraneo, e siamo noi, veri e originali”.

Credi nel Mediterraneo, Kafka? Sei una donna così internazionale, viaggi in tutto il mondo, hai amicizie nel mondo della musica e dell’arte, dovresti votare per una visione cosmopolita del mondo. “La grande ricchezza del Mediterraneo è tutto quello che abbiamo. Ed è un elemento composito, di grande appeal. Mi interessa chi guarda il mondo, ma lo guarda dal Mediterraneo, da qui, cioè da se stesso”. Questo pensi che abbia impatto sulla società, pensi che serva? “Io non credo nella politica. Syriza, la novità del momento.. interessante, certo, ma io so che quando vai su, come tocchi la cosa pubblica, come tocchi la politica, quella ti cambia, ti rapisce. Io credo nel lavoro dell’individuo che cerca di cambiare se stesso, il proprio palazzo, il proprio villaggio, ma partendo da sé. Quella è la vera politica. Tutto si ripete, i Tamerlani tagliarono la testa a migliaia di persone, come l’Isis, cosa è cambiato da allora? L’uomo deve cambiare. La politica non esiste. Il signor Tsipras, perché dovrebbe essere diverso dagli altri?”.

Cambiare l’individuo, partendo da dentro, da lui stesso, per poter avere impatto sul mondo. Kafka non è né ambiziosa né ripiegata su se stessa, ma quel che dice ha un senso, e ce l’ha soprattutto la lucida determinazione con cui lo dice. Si capisce che a questo ha pensato, che ne ha fatto oggetto di dialogo, che si è confrontata e ha elaborato una sua visione del mondo. “Quando qualcuno viene da me di solito cerca di spiegarmi perché va via da dov’era. A me non frega niente di questo. A me interessa cosa ha da propormi, che idee ha.  Cosa vuoi fare? gli chiedo. La gente non capisce che deve cambiare se stessa. Non c’è verso, non lo capisce, ha enormi resistenze. Contano le persone, solo quelle, quello che faranno come singoli individui”.

Chiudiamo seguendo il suo filo. E’ una giornalista, ha stoffa, carattere, energia, e guida lei l’intervista. Io mi lascio guidare, smetto di fare domande, ascolto. “Il tempo. Ecco il punto della cultura Mediterranea, noi abbiamo ancora il privilegio del tempo. Sappiamo resistere, sappiamo aspettare, sappiamo godere del flusso del tempo”. Anche George interviene: “Mio padre mi diceva sempre: 24 ore sono abbastanza per fare tutto. Non c’è bisogno di correre, non dobbiamo stare fermi. Ecco anche cos’è il Mediterraneo, lo spazio tra quella stasi e quell’inutile corsa”.

Quando ci salutiamo passeggio sul molo, Kafka vuole lasciarmi queste parole di David Foster Wallace, che trascrivo così, senza tradurre: But of course there are all different kinds of freedom, and the kind that is most precious you will not hear much talk about much in the great outside world of wanting and achieving…. The really important kind of freedom involves attention and awareness and discipline, and being able truly to care about other people and to sacrifice for them over and over in myriad petty, unsexy ways every day. That is real freedom….The alternative is unconsciousness, the default setting, the rat race, the constant gnawing sense of having had, and lost, some infinite thing.” Per inciso, David Foster Wallace è nato in una cittadina degli Stati Uniti di nome Ithaca

 Che bell’incontro. Ecco la Grecia moderna, attuale, che tra qualche anno modificherà irrimediabilmente questo Paese, ne farà un mondo diverso, che nessuno ancora comprende. Ecco il Mediterraneo, il nostro, che ci fa vedere, ascoltare cose che mai avremmo ipotizzato. La conoscenza di questa epoca, solo virtuale, solo da fuori, solo da distante, o divorata in due giorni troppo brevi per consentire la comprensione, non funziona. Mediterraneo è, per prima cosa, una diversa strategia per una nuova comprensione.