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Salonicco ci ha accolti una mattina presto, nella foschia che contrassegnava quel giorno. A 2 miglia dalla costa, a stento ne riconoscevamo i contorni. Capitale Europea delle Gioventù per l’anno 2014, l’antica Tessalonica ha ottenuto questo riconoscimento non a caso.

Basta passeggiare lungo le sue strade, dalla piazza Aristoteliou con i bei palazzi Art Deco, che si apre sul golfo Termaiko come da un proscenio, al lungomare dei docks e della Torre Bianca, alla via Egnazia, l’antica strada voluta dai Romani conquistatori che univa Bisanzio diritta fino a Roma.

 

I giovani di Salonicco ci hanno travolto con il loro entusiasmo e la loro vitalità. Nei bar e nelle taverne della città, li abbiamo visti parlare, abbracciarsi, ridere e baciarsi, apparentemente dimentichi della crisi che ha messo in ginocchio un intero Paese. Salonicco la città universitaria, Salonicco che è viva e pulsante più di Atene, Salonicco che si racconta attraverso le facce dei suoi 150 mila studenti e di quel 50% di popolazione costituita da ragazzi e ragazze. Una di loro ha parlato con noi; in realtà, ha urlato a noi il suo disappunto, la sua costernazione, la sua rabbia contro un governo che non sa spiegare come impiega il denaro che arriva dal fiorente turismo che investe tutta la Grecia. “Dove sono questi soldi? – ci chiedeva – dov’è il contributo che ogni anno milioni di persone in vacanza lasciano alla Grecia? Io faccio la cameriera, la mia famiglia non può mantenermi, guadagno 25€/ora e lavoro dalle17 a chiusura locale (2.00 del mattino ndr). Non voglio andare via, non è giusto, questo è il mio Paese, questa è la mia città!”. Salonicco città della tolleranza: in un tempo che sembra ormai svanito convivevano insieme cristiani, musulmani, ortodossi ed ebrei. La chiamavano “la seconda Gerusalemme”. Nel suo DNA, una stratificazione di epoche e di storie. Nata nel 316 a.C. per volere di Cassandro, marito di Tessalonica figlia di Filippo II e sorella, quindi, di Alessandro Magno, l’odierna Salonicco si sfoglia come le pagine di un libro di Storia. L’Arco di Galerio e la vicina Rotonda dedicata allo stesso imperatore, forse la sua tomba, forse un tempio eretto a Zeus; la casa dove nacque e visse l’infanzia il fondatore della moderna Turchia, Mustafà Kemal Ataturk; i siti archeologici confusamente sparsi tra le vie della città; le mura bizantine dell’Anò Poli, la città alta, il quartiere turco di Tsinari. E poi ancora il Museo Archeologico, uno dei più ricchi ed interessanti d’Europa e le tante basiliche e chiese, di stili e dimensioni diverse, nate su templi romani o ex-novo. E poi ancora il mercato Modiano, in parte coperto, vivace di colori e odori, suddiviso in zone in base agli articoli e ai cibi in vendita. Nei giorni del nostro passaggio, sullo specchio d’acqua del golfo si riflettevano le luci abbaglianti delle star del 55° Festival del Cinema di Salonicco. Volti, applausi, gente, tanta gente affollava le banchine del vecchio porto restaurato e riconvertito ad area espositiva. Così abbiamo visto Salonicco, così l’abbiamo conosciuta: viva, brillante, colta ed elegante.

Mediterranea naviga e raggiunge porto Koufos, all’apice del 2° dito della penisola Calcidica, quella che hanno chiamato Sithonia, dal nome di Sithon, il re degli Odomanti che abitavano questi luoghi. Una baia chiusa, profonda e ben protetta. Un porto che potrebbe essere di pirati, un luogo dove ripararsi quando il vento spinge forte e la pioggia non dà tregua. Due giorni fermi lì, a lavorare alla barca, a passeggio lungo il bordo della piccola insenatura, a leggere e studiare in uno dei caffè o psarotaverne (osterie con cucina a base di pesce) che si affacciano sul molo. Piccole barche di pescatori tutte colorate, silenzio che ristagna come la foschia novembrina che sale dal pelo dell’acqua. Un  grande peschereccio ormeggia lungo la banchina accanto a noi e ci regala tanti calamari e qualche sogliola. Riprendiamo la nostra rotta, portando con noi “la nostalgia per una baia che mai vorresti lasciare”.

Poche miglia e Mediterranea è già a Neos Marmaras, sul versante ovest della penisola. Siamo in una zona turistica molto sfruttata. Una grande albergo grigio e moderno si staglia sullo sfondo della baia, bianche villette sulla cresta della collina, un porto che mostra i segni di violente mareggiate. Le case semplici anni ‘70 raccontano di un turismo di città, quello che arriva con l’inizio dell’estate, dilaga ovunque e poi si ritira a fine stagione, come il mare dalla sabbia. Neos Marmaras è nata nel 1925, per opera dei greci che vivevano sull’isola di Marmara in Turchia, giunti qui dopo la guerra greco-turca (la Catastrofe dell’Asia Minore  n.d.r.) e lo scambio di popolazioni previsto dal trattato di Losanna (1923) che sancì i definitivi confini di Grecia, Bulgaria e Turchia. Sul porto si affacciano piccole taverne, tutte con i tavolini sulla sabbia. Cani, gatti e oche si aggirano curiosi. Tula, la proprietaria di “Ta Kimata” (Le onde) ci accoglie con un grande sorriso. “Che bello vedervi arrivare ora che tutte le barche vanno via!” Pranziamo alla sua tavola, con pesce fritto di tutte le qualità, bianco Assyrtiko che si fa rispettare, la classica horta semplicemente condita e per dolce la tradizionale halva, a base di mandorle, miele e scorza d’arancia. Tula lo prepara anche con una spolverata di cannella. “Siamo qui da 3 generazioni – racconta – mio padre pescava nel mare davanti a voi, tirava la rete a riva, ed io prendevo il pesce con le mani e lo portavo a mia madre perché lo cucinasse per i clienti. Sono qui, sempre qui, perché la cosa più bella del mondo è essere amici per un’ora“.  Siamo felici, stiamo bene, il sole ci scalda. Mediterranea ci guarda dal molo e, forse, ci invidia un po’.