00-Museo dellInnocenza

(di Giuliana Rogano)

Al primo piano sul muro d’intonaco bianco, tra le teche di legno scuro, leggiamo:

TIME

In “Physics” Aristotle makes a distinction between Time and the single moments he describes as the “present”. Single moments are – like Aristotle’s atoms – indivisible, unbreakable things. But Time is the line that links them. My life as taught me that remembering Time – that line connecting all the moments that Aristotle called the present – is for must of us rather painful. However, if we can learn to stop thinking of line corresponding to Aristotle’s Time, treasuring our time instead of its deepest moment, then lingering eight years at our beloved’s dinner table no longer seems strange and laughable. Instead, this courtship signified 1593 happy nights by Füsun’s side. It was to preserved this happy moments for posterity that I collect this multitude of objects large and small that once felt Füsun’s touch, dating each one to hold it in my memory.”

Il Museo dell’Innocenza si trova in una palazzina a tre piani del 1897, completamente ristrutturata, nel quartiere di Çukurcuma. Qui tra il 1976 e il 1984 hanno vissuto la loro storia d’amore Kemal, rampollo di una ricca famiglia stambuliota prossimo ad un buon matrimonio e Füsun, la cugina bella, povera e impossibile da sposare secondo i criteri della buona società turca degli anni settanta. Per otto anni Kemal colleziona ogni tipo di oggetto per ricordare i momenti trascorsi con lei: fermacapelli, spille, fazzoletti, ritagli di giornale, cartoline, bicchieri e tazzine ancora pieni di chai e di caffè, alcuni pezzetti di dolci, mozziconi di sigarette, un vestito bellissimo bianco con fiorellini colorati esposto come in una vetrina accompagnato da un paio di orecchini e una collana, lettere e disegni, orologi, fotografie, una mappa della città e una del Bosforo. Kemal conserva ogni cosa, per non perdere nessuno degli istanti felici vissuti insieme e per realizzare, infine, un museo dedicato all’amata Füsun. Una commovente raccolta, delicata, tenera, minuziosa, al limite del maniacale, di piccoli oggetti semplici, che hanno accompagnato la loro storia. E all’ultimo piano, nel sottotetto, la stanzetta dove dormiva Kemal.

E poi, tra le teche, una tavola anatomica “per mostrare i punti dove la mia sofferenza amorosa in quei giorni si manifestava, si acuiva e si diffondeva” segnandoli “sull’immagine che ritraeva gli organi interni del corpo umano nel cartellone pubblicitario del Paradison, un antidolorifico che, in quel periodo, mi aveva colpito nelle vetrine delle farmacie di Istanbul”.

Il Museo lo pensa e lo realizza Orhan Pamuk, lo scrittore turco premio Nobel 2006, in quasi 15 anni, trovando tra mercatini e rigattieri o addirittura commissionando dipinti e oggetti di design, per ricreare le atmosfere di una città. Circa 1500 oggetti esposti nelle 83 vetrine, una per ogni capitolo del suo libro. Il Museo è una finzione, Kemal e Füsun sono i personaggi del libro di Pamuk e non sono mai esistiti, ma esisteva Istanbul ovviamente in quegli anni e quegli oggetti ne sono la rappresentazione. L’allestimento è la riproduzione fedele di quello che Kemal ha progettato e che Orhan Pamuk ha realizzato, ma è anche principalmente un modo per raccontare Istanbul, una rappresentazione della Città alla fine anni ’70 di questo secolo.

Si può fare di un romanzo, un museo? Oppure si può fare di un museo, un romanzo? Forse si, ma in questo caso nessuna delle due ipotesi è corretta: il Museo e il Romanzo sono stati pensati e creati contemporaneamente. Pamuk ha iniziato a raccogliere e collezionare oggetti veri per una storia finta e mentre li raccoglieva, scriveva la sua storia e mentre scriveva la sua storia, raccoglieva oggetti.

All’ingresso del Museo, che è come entrare in una casa in cui ci si sente ospiti, troviamo il “Modesto Manifesto per i Musei” a chiarire immediatamente il valore che Pamuk attribuisce al museo, il cui avvenire, ben diverso dalle retoriche dei grandi musei nazionali nei quali non c’è spazio per i desideri e le curiosità del singolo, “risiede nell’intimità delle nostre abitazioni”.

Era l’istante più felice della mia vita, e non me ne rendevo conto. Se l’avessi capito, se allora l’avessi capito, avrei forse potuto preservare quell’attimo e le cose sarebbero andate diversamente? Sì, se avessi intuito che quello era l’istante più felice della mia vita non mi sarei lasciato sfuggire una felicità così grande per nulla al mondo.” (Kemal, dall’incipit de “Il Museo dell’Innocenza” di Orhan Pamuk)

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