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(di Simone Perotti)

“Una storia complessa, la nostra…”. Murat Belge, che incontro all’Istituto Italiano di Cultura, è un’intervista che attendo fin da quando ci ha confermato la sua disponibilità, e infatti non resto deluso. Giornalista, traduttore, attivo da sempre nel dibattito politico, professore di letteratura comparata, Murat Belge è un rappresentante autentico di quella libertà del pensiero che contraddistingue tutte le culture sane.

“Venivamo da un impero e siamo passati dal tentativo di organizzare la società forzando una radicale occidentalizzazione e modernizzazione, a una sequela di colpi di Stato e poi a una democrazia che pare muoversi velocemente verso una repubblica presidenziale di stampo autoritario. Insomma, da una minority rules a una majority rules”. In un soffio, la sintesi precisa di intere epoche. Questo fa di lui il primo professore universitario dotato di lucida sintesi che io abbia mai conosciuto.

“Con il kemalismo ti svegliavi una mattina e cambiava l’alfabeto, cambiavano le parole, a suon di leggi cambiava la vita della gente. Capisco alcuni degli intenti, ma si trattava di una forzatura sulle reali circostanze e sulle necessarie gradualità dell’evoluzione di un popolo. Questo ha generato molto risentimento. L’approccio era un po’ giacobino, tanto per intenderci”. Si intuisce, come si osserva anche leggendo le sue note biografiche, che Murat Belge non condivide l’anima di quel processo storico. Ma da bravo libertario, poco dopo capiamo che il suo giudizio non è tenero neppure verso la situazione che ne è seguita. “Noi siamo una terra, un popolo, tipicamente ibrido, risentiamo delle forze attrattive tra est e ovest, tra maggioranze e minoranze. L’AKP dell’attuale Presidente ha saputo cavalcare molte di queste derive e si muove velocemente verso cambiamenti marcati, in certo senso epocali. Col risultato che ci troviamo ad un nuovo crocevia della Storia dovendo affrontare molti punti spiacevoli e importanti. La situazione curda è uno di questi”.

Gli chiedo se un intellettuale come lui non abbia un ruolo decisivo nell’indicare la via, o almeno i problemi. Ammette con onestà il suo imbarazzo: “Ho sempre saputo come affrontare l’autorità, ma come si affronta la maggioranza non so proprio”. Mi torna in mente, a torto o a ragione, un verso di Jannacci: non ho problemi con Berlusconi in sé, io ho problemi con Berlusconi in me.

Gli riferisco, come lui sa bene, che molti osservatori islamici e comunque mediorientali ritengono la via di Erdogan un possibile giusto mix tra occidente e Islam, e su come far coesistere due anime apparentemente inconciliabili. Gli chiedo cosa ne pensi: “Non sono sicuro che sia questo il mix. Lo era, fino a qualche tempo fa, ma ora le cose stanno cambiando”. Parliamo ancora un po’ della politica e dei partiti attuali, come ad esempio del partito di ispirazione curda, il cui leader viene definito molto efficace, molto credibile, dunque capace di portare la minoranza al 10%, cosa che consentirebbe a loro di fare da ago della bilancia parlamentare. Poi dell’economia, in cui a dispetto della buona condizione economica del Paese, sembra che vi sia una flessione (p.es. export e agricoltura, ndr) che potrebbe avere forti riflessi sul consenso.

Gli chiedo del Mediterraneo: “Del resto l’occidentalizzazione dei decenni scorsi ha condotto verso il sistema capitalista, e non c’è da stupirsi, era prevedibile. Ma la gente presta poca attenzione ai sistemi di riferimento. In più l’influenza pervasiva della cultura islamica tende a coprire un po’ queste cose. Tuttavia, io credo nei valori del Mediterraneo, convengo con lei che siano da ristrutturare e da rimettere al centro di una possibile rinascita politica e culturale. Non mi sembra che la gente abbia aver ben chiara questa opportunità. I modelli nordoccidentali e islamici polarizzano l’attenzione altrove”. E poi chiosa, per essere certo che io abbia capito: “Inutile dire che io ho in comune con un marocchino o con un egiziano, anche quando non condivido cosa dicono, assai piùcose che con un finlandese…”. Come dargli torto.

“Del resto la religione è la pelle dei problemi”. Su questa frase siamo perfettamente in sintonia, io la chiamo l’uniforme, lui la pelle, ancor più poeticamente. “Il problema vero è l’economia, anzi, il benessere. Poi malumori, dissapori, proteste, potere, tutto prende la forma altra della questione religiosa, che naturalmente c’entra poco. Chi non lo capisce, sbaglia”.

Possono gli intellettuali influire sul cambiamento? “Dunque, è difficile spiegare: quando il Paese si aprì a viaggi, scambi internazionali, all’interno del processo di occidentalizzazione, è stato inevitabile avvicinarsi al capitalismo. Anche se qualcuno è tornato deluso da viaggi ed esperienze. Come se si aspettasse di più, se vedesse i guasti del sistema. Gran parte di essi era kemalista, dunque forse si capisce anche perché. In generale comunque gli intellettuali possono avere un ruolo, dipende da quanta onestà mettono nella loro azione di studio e di proposta”.

E i giovani? “A me è parso che dopo le proteste del 2013 si sia comunque mosso qualcosa. Anche se in piazza i gruppi si sono aggiunti col tempo e non proprio fusi in un movimento. All’inizio era solo una protesta per gli alberi, molto circoscritta. Poi è diventata altro, e allora un po’ tutte le opposizioni sono scese in piazza, anche se i diversi gruppi di oppositori hanno comunicato poco tra loro e non hanno fatto sistema. La cosa buona è che ci sia stata anche un minimo di opposizione interna al partito di governo. I giovani comunque si sono fatti avanti, quelli della generazione degli anni ’80 per esempio, e hanno preso coscienza di alcuni problemi. Tutti definiscono piuttosto male i giovani, quelli che si fanno i selfie, che stanno sempre su internet, che sono leggeri. Io non condivido. Mi pare ci sia molta varietà, e questo è un bene. Hanno un buon senso dell’umorismo, è gente che studia, rappresentano il futuro”. E poi aggiunge: “Del resto la politica mi pare di basso livello. Chiunque ha un minimo di rispetto per sé non scende certo nell’agone politico”.

Ritorniamo sul tema del Mediterraneo: “Noi, nel Mediterraneo, abbiamo un certo stile di vita. Abbiamo sempre avuto piacere a godere della vita, del mare, del territorio. Non dobbiamo sentirci in colpa per questo, cosa che qualcuno sotto sotto, spesso, vorrebbe. L’ideologia del duro lavoro e della rincorsa al denaro è sbagliata e quella cultura ha dato conseguenze disastrose, le vediamo tutti i giorni. Per di più è fallita, vista la crisi imperante e non transitoria. Come indicava Max Weber, in quella cultura c’è una sorta di paura di godere, è inumana”.

Ma lei è ottimista, professore? “Non sono molto incline all’ottimismo, generalmente…”

Chi sono i cavalieri della luce? Murat Belge si prende il tempo necessario, sente che la domanda è fatta a bruciapelo, ma non è priva di stimoli. Poi, candidamente, fa una straordinaria apertura intellettuale: “Non credo nella cultura delle etnie, né in quella delle religioni, ma in quella delle idee e dei valori. I cavalieri della luce sono nella comunità internazionale. C’è un network di gente, sparsa dovunque, che usa il cervello, che ha lungimiranza, che ha la cultura necessaria per comprendere processi e fare critica agli errori. Gente molto consapevole che questa internazionale delle idee non è posizionata ad ovest necessariamente, ma comprende i mediterranei del Sudamerica tanto quanto il pensiero del Levante. E’ un’internazionale basata su una cultura democratica e umana, cosa che molti occidentali non sono, ma grazie al cielo molti altri sì”.