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 (di Simone Perotti) 

I due grandi temi, trasversali alla letteratura neogreca contemporanea, e soprattutto la più recente, sono la chiusura e la doppia identità”.

Maurizio De Rosa sembra un intellettuale di una volta, colto, erudito, ma anche sensibile e acuto, vero testimone della Grecia contemporanea. “Un po’ Pessoa, un po’ Vittorini…” penso mentre lo ascolto parlare, seduto nel pozzetto di Mediterranea, barca giunta fin qui ad Atene per ospitare il pensiero.

“La Grecia si è formata più come Israele che come l’Italia” prosegue “perché cultura, lingua e società greca erano sparsi dovunque, nell’Impero Romano d’Oriente, da Costantinopoli ad Alessandria d’Egitto, dalla cultura antica del mondo cicladico all’Asia Minore, alla Magna Grecia, dovunque nel Mediterraneo. 

Poi improvvisamente la grecità si è trovata rinchiusa in uno spazio angusto, se vogliamo, che è il Paese attuale. Ecco forse perché nella letteratura greca ritorna spesso l’elemento della stanza, del pozzo, della diga, del muro, qualcosa che chiude. Pensiamo a “Le Mura” di Kavafis. Il greco, molto spesso, soffoca”.

“E poi la doppia identità, altra cifra della letteratura greca. Doppia natura tra oriente e occidente, ad esempio. Pensiamo ai giannizzeri, che erano guardia imperiale ottomana, ma erano greci convertiti, e spesso dovevano combattere contro i loro compatrioti in rivolta. Pensiamo a una pittrice greca di Hydra, ai tempi della patriota Laskarina Bouboulina, che si traveste da uomo per entrare all’accademia d’arte di Roma. Lei tra l’altro era greca ma albanese di comunità di provenienza, dunque donna che si finge uomo e albanese che vive da greca. E pensiamo anche a Petros Markaris, turco di nascita, greco linguisticamente, perfettamente germanofono per gli studi”. Mentre De Rosa parla mi vengono in mente anche i collaborazionisti del periodo dei colonnelli, greci ma contro i greci. De Rosa evoca molto, spazia, e in questo si vede che è italiano, ma ancor più, ormai, greco.

Forse questo spazio del pensiero è una delle cifre del Mediterraneo che stiamo cercando?

E il mare? “Il mare c’è, c’è sempre, come sfondo, come navi, come comandanti sparsi per le azzurre praterie del pianeta. Qui ognuno ha un parente che è stato imbarcato. Pensiamo solo a “Le Catene del Mare” di Ioanna Karistiani. Il mare esiste, anche se esiste un ramo della cultura greca (al nord soprattutto, tra Tracia e Macedonia) che non si rivolge al mare, che ha sempre seguito una vena metafisica, esistenziale, da Angelopoulos allo stesso Kavafis prima di lui. Lì c’è molto di più la città, l’uomo nella sua interiorità, lo spazio dell’entroterra”.

De Rosa ama discorrere, il sole gli lambisce il viso. Nel porto di Zea Marina il caldo lascia gradualmente il posto alla sera.

L’intellettuale greco ha sempre dovuto fronteggiare scelte politiche, fin dalla decisione, primigenia rispetto ai contenuti, su quale lingua utilizzare. In Grecia si sono sviluppate due lingue parallele, quella colta e quella, diciamo così, più volgare. Il dilemma si è risolto tardissimo, con una lingua meticcia tra le due, l’attuale greco moderno, ma prima conservatorismo e progressismo si rincorrevano anche sul filo delle parole, prima ancora che dei contenuti. E poi la dittatura di Metaxa, poi dei colonnelli, fino al 1974 hanno spinto, orientato gli autori greci a scegliere tra segregazione, esilio, partecipazione, ortodossia. Poi tutto è confluito in una quiete, in una specie di necessaria, inevitabile disintossicazione dalla ponderosità e dall’impegno su temi politici. Da qualche decennio, pur essendoci sempre stata una vena esistenziale nella letteratura greca, gli autori si sono gradualmente distaccati dall’impegno civile, non più impellente nel periodo democratico, che voleva anche mettersi alle spalle i brutti ricordi della dittatura, del collaborazionismo, della mancanza di libertà. Oggi che la “crisi” impone forse una nuova partecipazione ai temi sociali, è come se gli intellettuali greci fossero stati colti di sorpresa, impreparati”.

Con De Rosa parliamo di politica, di giovani, di rivolte di piazza. “Ho visto anche tanta voglia di scendere a vedere cosa capitava, dunque una partecipazione anche leggera, non solo sentita. Non dico che non ci siano state forti motivazioni, ma forse erano di una minoranza. Per tanti altri era curiosità, motivazione decisamente più superficiale”.

Ci salutiamo con piacere. Un dialogo socratico, senza scalette, senza tempo, senza obiettivi. Forse anche per questo ci diciamo “arrivederci” con sincera gratitudine.