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(di Simone Perotti)

Maria Peteinaki ha qualcosa di Valeria Golino, forse la capigliatura folta e selvaggia, gli occhi profondi e dolci. Non certo la voce, tutt’altro che rauca, con cui dice quello che ha visto nei giorni di piazza Syntagma. “Eravamo tanti, tutti animati da un grande desiderio di partecipazione.

L’occupazione della piazza ha stupito per primi noi, espressione di nessun movimento, di nessun partito, di nessuna organizzazione, che pure ci riunivamo in assemblee continue nella parte bassa della piazza, mentre sopra, tra noi e il Parlamento, i nazionalisti con le bandiere greche ci insultavano, ci prendevano in giro…”. Maria è anche portavoce dei Verdi, fa attività politica, la madre e il padre la seguono ma sono anche preoccupati, le chiedono perché perde tempo a fare tutte le cose che fa. E’ il nostro primo contatto col mondo greco in subbuglio, col mondo antagonista, che però non si è limitato a dire no, a urlare basta. “La gente con la crisi ha ripreso a parlare, a iniziato a cooperare. Non dico tutta, certo, ma un grande parte. Sono nate esperienze positive, di impegno, progetti costruttivi, che durano ancora”. Ci racconta degli orti urbani, tanti, alcuni ormai chiusi, ma molti ancora attivi. Ci racconta delle librerie che hanno iniziato a fare book-sharing, dei gruppi che ancora si riuniscono e danno vita a progetti per la città. Maria è un architetto, e fa la guida turistica per visitare un’Atene alternativa. Ci invita a partecipare a uno dei suoi tour.

Maria è figlia di un dipendente dell’ambasciata e rappresenta anche lei alla perfezione la natura greco-mediterranea del doppio e del triplo. Nata a Bucarest da genitori cretesi, vissuta cinque anni in Romania, nove a Parigi, uno a Torino, ora ad Atene. Parla correntemente quattro lingue. Forse anche per questo non si scompone quando si parla di Mediterraneo. “Non è tanta la gente che si accorge del mediterraneo, ma è una linea che attraversa molta parte del pensiero antagonista. Qui molti vogliono restare, non andare via”. Ce lo confermerà anche Petros Markaris, qualche ora dopo.

Nel movimento, che movimento organizzato non è, sembrano non esserci leader e portavoce. “Come qualcuno ha provato a mettersi in questo ruolo è stato subito messo da parte. Nessuno accetta che qualcuno metta la sua faccia tra quello che avviene e il mondo dei media o le rappresentanze politiche. C’è grande sensibilità in questo”. Sembra anche che non ci siano intellettuali di riferimento, libri, musiche che fanno da inno della protesta. “Tutti volevano suonare,” ride Maria, divertita “ma poi alla fine le musiche erano quelle dei movimenti di protesta contro la giunta dei Colonnelli, negli anni Settanta. No, nessun intellettuale, nessun libro in particolare. Non so se è un bene o un male. La gente è molto impegnata a fare, più che a leggere. Naturalmente c’è chi fa parte del mondo universitario ed è più vicino a fonti e voci della cultura. La mia impressione è che chi si occupa della cultura è molto lontano dalla realtà, come se vedesse un mondo diverso. La gente più vicina ad idee e ideologie è comunque quella che fa capo al movimento anarchico, che qui in Grecia è molto forte e organizzato”. Non le dico quanto trovi preoccupante quel che ha appena detto, che ricorre nei miei incontri ateniesi, mi limito a citarle due recenti raccolte di poesia di Kostas Koutsourelis sul tema della crisi.

Ma chi sono i manifestanti, chi si occupa degli orti urbani, che gente è? “Sono giovani, naturalmente, ma non solo. Uomini e donne tra i 25 e i 35 anni, che non vogliono subito sposarsi, lavorare in modo stabile, mettere su famiglia, e che quindi hanno tempo da dedicare alle attività di volontariato. Anche i disoccupati hanno preso l’azione collettiva come un modo per impiegare utilmente il loro tempo. Non c’è un identikit dell’attivista, semmai è quello del greco di oggi, del cittadino comune. Questo non è un movimento ma l’espressione della società ai tempi della crisi”.

Le chiedo delle violenze della polizia, dell’ideologia fascista strisciante che alligna nelle forze dell’ordine. Fa una smorfia, ci racconta che la maggior parte delle manifestazioni tra 2008 e 2011 è stata pacifica, e che appena c’erano scontri i manifestanti si disperdevano naturalmente. “Nessuno voleva lo scontro. Certo, c’erano anche i giovani anarchici che volevano spaccare tutto, ma erano una minoranza”.

Ma c’è unione tra le anime dei manifestanti? “Assolutamente no. Ognuno è partito mantenendo fede alle proprie posizioni. Durante le manifestazioni ognuno partiva dalla sua via, per far vedere che c’era. La segmentazione è la maggiore debolezza della protesta. Ora le cose stanno un po’ cambiando. Anche il successo elettorale di nuove forze politiche come Syriza, che pure ha generato critiche, perplessità incrociate, invidie, adesso sta generando un desiderio diffuso di unirsi, di provare a creare una coalizione che prenda in mano il potere del Paese. La sinistra sta lavorando per capire che unione elettorale è possibile per tentare di vincere le elezioni, quando ci saranno…”.

Parliamo anche di ambiente, dove la situazione greca è tragica. “Questa estate non siamo quasi andati in vacanza, per presidiare la situazione. Sapevamo che il governo voleva varare un pacchetto di norme che facilitassero la svendita di beni dello Stato, soprattutto del patrimonio naturale: spiagge, isole, territori protetti. E infatti è quel che il Governo sta facendo. Come movimenti abbiamo rilanciato la vostra occupazione di Meganissi e Elafonissos con grande gioia. Che una barca italiana di persone amanti del Mediterraneo volesse intervenire per provare a sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica su questa emergenza, ci è parso un segno importante. Eccolo lì, il Mediterraneo…”.