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(di Francesca Piro)

“Il valore della mia testimonianza è legato alla mia età. Io ho 80 anni, sai, e l’isola non è sempre stata così”. Incontriamo Maria Guccione, memoria storica dell’isola di Favignana, prima insegnante, poi albergatrice e ristoratrice insieme alla sorella Giovanna, poi assessore alla Cultura. Una donna-imprenditrice in un’epoca in cui di donne così il mercato d’impresa italiano ne contava davvero poche. L’abbiamo cercata per incontrarla a bordo di Mediterranea durante il nostro passaggio tra le isole Egadi, perché nel nostro viaggio cerchiamo testimoni di vita, esperti del territorio, conoscitori di genti. In breve, persone che abbiamo da dire parole di senso. E Maria Guccione è tra queste“L’isola non è sempre stata così come la vedete ora – prosegue – piena di gente, con tanti ristoranti, un mangitificio, come la chiama un mio amico. E’ una cosa che non mi piace, perché di Favignana dovrebbero essere esaltate le tradizioni, la cultura, il mare, l’archeologia. Il turismo sta diventando sempre più veloce e questo per me un grandissimo problema. Vi ringrazio quindi perché siete venuti a chiedermi com’era Favignana, prima. E io ve lo dico.”

“Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ‘60, a Favignana vivevano circa 7000 persone; ora, insieme a Levanzo e Marettimo, non arriviamo a 5000. Era un’isola completamente autarchica, perché c’era una fiorente attività agricola fatta di frutteti, orti, piantagioni di cotone, grano e fieno, allevamenti. C’era tutto. Ai favignanensi serviva soltanto uno schifazzo, la barca a motore che da qui portava la gente a Trapani in 3 ore, anche per acquistare materie prima come il gasolio o il carbone.” E poi che cosa è successo? “È successo che l’agricoltura ha iniziato a soffrire per i tanti motivi che hanno interessato anche il resto Italia. E poi, quando sono arrivati gli aliscafi, tutto è diventato più veloce, e la trasformazione dell’isola è stata completata. Tutto è precipitato”.

Maria ha uno sguardo che parla più delle parole che dice e l’emozione che traspare è molto forte; si sente il suo legame con questi luoghi. Le chiedo cosa abbia significato per l’isola l’albergo-ristorante Egadi. “Noi, mia sorella ed io, non siamo nate albergatrici. Nostro padre lo era. Noi avevamo studiato per diventare insegnanti, e al momento della scomparsa dei nostri genitori, quello facevamo. Ci siamo ritrovate con un piccolo albergo con grandi debiti e le poche camere che avevamo non ci consentivano certo di riuscire a pagarli. Ho avuto l’idea di aprire il ristorante. ‘Ma come?’ ci dicevano ‘hai studiato tanto e ora vuoi lasciare tutto per aprire un ristorante?!’ Noi non potevamo fare altrimenti, però il nostro ristorante era concepito in maniera diversa da quello che era la moda negli anni ’50, quando, a guerra appena finita, si andava fuori di casa per mangiare la bistecca alla fiorentina o il pollo arrosto. No. Noi abbiamo pensato ad una mediazione culturale con il territorio. Negli anni ’50! Stare a tavola è convivialità e questo consente di entrare in contatto con le persone. Chi veniva da noi, mangiava la cucina della tradizione di Favignana. Noi spiegavamo alle persone cosa stavano per mangiare, ma nel fare questo, in realtà, raccontavamo la nostra vita. Per esempio: le polpette di tonno, il piatto povero della nostra tradizione. Una volta si preparava con gli scarti del tonno regalati alle donne che lavoravano allo Stabilimento Florio. Come sai, del tonno non si butta niente e quindi della carne che restava attaccata alla lisca, mescolata al pane, si facevano le polpette per sfamare tutta la famiglia. E così il nostro cliente, nel mangiare la polpetta di tonno – che noi preparavamo invece con tonno di prima qualità – entrava in sintonia con l’isola, con la sua Storia. Non era un mangiare per saziarsi, era una gioia dello spirito, un arricchimento della conoscenza, un nutrimento attraverso il territorio. Giovanna non ha mai cucinato nel ristorante un piatto di spaghetti alla Amatriciana, così come non cucinava la caponata di melanzane se queste non erano di Favignana. Lei programmava il menù ed io le cercavo i prodotti qui, sull’isola. E se trovavo soltanto le melanzane di Trapani, niente caponata. Eravamo abituate a mangiare piatti fatti con i prodotti locali, conoscevamo soltanto quei sapori e quelli volevamo proporre ai nostri clienti. Oggi diciamo “a km zero”, ma io il “km zero” l’ho fatto 42 anni fa! 

Io volevo essere qualcosa di più di un’albergatrice o di una ristoratrice. Ero nata insegnante, ho continuato ad occuparmi di cultura e ho messo la mente al servizio delle braccia.” 

Il racconto di Maria continua. Mi parla di Nino Allegra, il lungimirante direttore dell’Azienda del Turismo di Sicilia che negli anni ’80 volle che Favignana diventasse meta di un turismo consapevole, culturale e sano. In quegli anni nacque uno degli eventi più importanti della Sicilia – La Settimana delle Egadi – da cui sono scaturiti progetti altrettanto onorevoli per l’isola, come l’Area Marina Protetta, i piani paesaggistici per limitare la speculazione edilizia e la cementificazione, i progetti di conservazione delle Cave. “Sono stati anni di fervore culturale, dove ‘turismo’ non significava arraffare, ma era accoglienza e condivisione e c’era una rete di collaborazione tra i pescatori, i contadini, le realtà culturali e chi faceva ospitalità e ristorazione. – dice ancora – Anni bellissimi. Eravamo molto attivi.”

E’ un fiume in piena, Maria. Inarrestabile. In una pausa riesco a chiederle del tonno. – Perché non si cala più la tonnara a Favignana? “Per tanti motivi, sai? I tonni pescati con l’ultima mattanza del 2007 erano di taglia molto inferiore a quelli degli anni fiorenti quando si pescavano tonni da 200-250kg. La pesca dissennata, gli aliscafi – il tonno è pauroso, i rumori lo spaventano – l’inquinamento. I Parodi (l’ultima famiglia di imprenditori a gestire la pesca del tonno, ndr) hanno abbandonato nel 1997; a loro è subentrata la cooperativa dei pescatori, i tonnaroti storici dell’isola, ma non ce l’hanno fatta, perché sono pescatori, non imprenditori. Dal 2007 non è stata più calata tonnara a Favignana. Stavamo per perdere anche i diritti, perché dopo 10 anni questi decadono per sempre, ma grazie a questa amministrazione comunale, forse nel 2018 finalmente si riprenderà a pescare il tonno in queste acque. Si dice che un’azienda dell’industria del tonno di Trapani, la Castiglione, potrebbe essere quella che investirà in questa impresa, ma ogni investimento deve permettere all’industriale almeno di non rimetterci. Chissà… Certo, sarebbe bello veder rinascere la Camperìa, quello stabile laggiù, lo vedi? Era il locale dove si preparavano le reti della tonnara. Se entri, sembra una chiesa. Non appartiene al Comune di Favignana, è ancora proprietà dei Parodi, ma forse con un accordo… chissà…”

Lo sguardo va lontano, dietro la linea le case che delimitano la Praia. Siamo ormeggiati davanti all’Ex-Stabilimento Florio, un gruppo di edifici di architettura industriale dei primi del ‘900 di splendida fattura, ben conservato, attualmente uno dei musei-gioiello della Sicilia. Il sole sta scendendo dietro i tetti e le ciminiere. “Io sono stata la prima a voler parlare dell’Ex-Stabilimento Florio. La Regione lo aveva ristrutturato ed era lì, chiuso al pubblico. Sono andata in Comune, e poi alla Regione. ‘Apriamolo!’ Quelle enormi stanze non raccontano soltanto la storia dei Florio, i più grandi imprenditori siciliani, visionari ed illuminati, ma sono state anche il luogo di lavoro di centinaia di persone, donne e uomini dediti alla lavorazione del tonno e dei prodotti del mare. Ho intervistato alcuni di loro qualche anno fa e tutti conservano nel cuore il ricordo e l’affetto per quei luoghi e per il lavoro che facevano. Mastro Battista ha ancora un lungo coltello che lui chiama la scimitarra dei Crociati. ‘Con questa – mi disse – tagliavo più di 100 teste di tonno all’ora!’. La sala Torino è il cuore dell’Ex-Stabilimento. Lì le video-interviste dei tonnaroti raccontano la loro cultura. Io penso che possiamo anche non citare Eschilo che nei suoi libri dice che i Persiani morivano in mare come quando si uccidono i tonni e il mare era tutto un lamento. Possiamo anche non citare Oppiano di Cilicia che racconta dei tonni che venivano ad accoppiarsi nel Mediterraneo sospinti da amoroso furore di nozze. Possiamo. Ma la cultura dei tonnaroti non possiamo dimenticarla. Ci appartiene.

E i Rais della Tonnara, Maria? Sulle maglie di alcuni di noi c’è ricamata questa parola. Per noi Mediterranei è un omaggio ai comandanti del Cinquecento, quei marinai che venivano da Oriente e che i Crociati vollero chiamare pirati, ma che hanno fatto la storia della navigazione nel Mediterraneo. Qui a Favignana, invece, la parola Rais indica un’altra cosa. “Sì, il termine Rais è un termine nobile. E’ un personaggio davvero importante, con un ruolo sociale riconosciuto, perché non solo coordinava tutte le fasi della pesca del tonno, ma era anche una sorta di saggio del villaggio, colui che risolveva le dispute. Quello che il Rais diceva, si faceva. Mia sorella, che ama dipingere, ha realizzato una mostra di ritratti dei Rais. L’ha intitolata: gli sciamani del mare. Ecco, il Rais è uno sciamano. Non parlava, faceva segni con le mani e con gli occhi. Un mediatore tra il cielo e la terra, come si canta nell’Aiamola, la cialoma di Favignana (canto di lavoro dei tonnaroti durante la mattanza, ndr). Tra il dio delle preghiere, invocato dai tonnaroti, e il mare, si poneva il Rais, lo sciamano. Lui sapeva il dove, il come e il quando, anche se, per rispetto, prima di dar seguito a una decisione, la comunicava al proprietario della tonnara. ‘Abbiamo le mani legate’ diceva issando su una pertica una giacca con le braccia legate per indicare al proprietario, in attesa sulla terraferma, che il banco di tonni non aveva alcuna intenzione, per ragioni sconosciute, di entrare nella camera della morte e che quindi la mattanza doveva essere rimandata.” Lo sguardo di Maria s’illumina nel raccontare dell’amore dei favignanesi per il tonno. “Lo sai? Là dietro, c’è una piccola cappella, con un affresco che rappresenta una madonna con in braccio un tonno. Invece del Bambino, il tonno.”

Ti senti mediterranea, Maria? “Sì, mi sento mediterranea perché quando vado in giro per questo mare è come se fossi a casa mia. Senti, io sono una presuntuosa. Ecco, io penso che la gente di mare abbia un senso dell’ospitalità e dell’accoglienza diverso da chi vive nell’entroterra. Quando viaggio vado sempre su un’altra isola. Oppure in un posto dove c’è il mare. Non posso starne senza. E’ una cosa fisica, devo vedere il mare.” E allora dove immagini la capitale dei possibili ‘Stati Uniti del Mediterraneo’?  “In Sicilia, ovviamente. E’ al centro del Mediterraneo. La Sicilia ha subito tante dominazioni ed è la regione mediterranea più aperta, è al centro. Ha visto tutti i popoli, li ha assimilati e li ha modificati a modo suo, ma conservando dentro di sé l’affetto per tutti quanti”. E il sorriso, felice, finalmente compare sul volto di Maria Guccione.