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(di Simone Perotti)

Mar Nero parte integrante della cultura mediterranea. Cominciamo da questo, che pare essere argomento del tutto condiviso dai nostri intervistati. Condiviso ma non banale, visto che prima di iniziare questa nostra lunga, paziente, complessa spedizione molti mi hanno chiesto: ma perché in Mar Nero? Questione di prospettive. E cambiare prospettiva è, appunto, il senso di un viaggio. Non di una vacanza…

Lasha Bakradze è del 1965, uno studioso, plurilaureato, formazione in Georgia e in Europa, soprattutto Germania. Esperto di letteratura e cinema, professore universitario. Il classico intellettuale multidisciplinare alla mitteleuropea, occhiali di chi legge molto, capelli arruffati, del tutto informale. Lavora in una bellissima struttura, il Museo delle Letterature, con una corte interna con pergolato e bar tradizionale georgiano, dove beviamo la miglior limonata fresca (con menta e basilico rosso) che abbiamo mai assaggiato.

Qui delle relazioni col Mediterraneo possiamo parlarne per giorni. Greci e Romani, poi Genovesi, Veneziani, turchi, asiatici. Qui si è sempre dato appuntamento il mondo intero. Qui le esperienze, i ritrovati, le idee si sono sempre scambiate liberamente, a parte nell’ultimo secolo”. Il tema lo trova ben saldo sui suoi studi e sulle sue conoscenze.

Mi racconta di una storia scritta nel ’37 da uno scrittore poi finito nelle purghe staliniane, dieci anni in Siberia. In Georgia c’erano gli inglesi, che a un certo punto lasciarono il paese. Il protagonista della storia sulla spiaggia assiste alla partenza delle navi inglesi, mentre la popolazione è in festa. Lui commenta: ‘L’Europa sta andando via. Ora siamo soli in Asia’. Storia molto emblematica.

“Ma mentre noi vogliamo affacciarci sempre più verso l’Europa, l’EU ha forti problemi di definizione di se stessa, della propria identità. Dunque cerchiamo aiuto dall’Europa ma forse dobbiamo chiederci come aiutarla. Magari possiamo dare un nostro piccolo contributo”.

Avendo cinquant’anni Lasha si ricorda bene dell’occupazione sovietica. Gli chiedo qualche impressione. “Me lo ricordo bene, e direi che non nutro nessuna nostalgia. Spero davvero che non torni più alcun totalitarismo in Georgia. Ma quel periodo lo studio, insieme ad altri intellettuali. Dobbiamo studiare il passato, soprattutto recente, perché è lì che risiedono alcune delle cause del presente. Il passato sovietico è ancora qui. Lo si sente, si annusa. Ed è ancora un problema. Quando parliamo di Mediterraneo dobbiamo fare la stessa cosa, per capirlo”.

Mi spiega che il Mediterraneo, per come lo vede lui, è Greci, Romani, ma è anche Arabi, Islam, e anche mondo ebraico. Ragiono che in effetti la Georgia si trova (come l’Azerbaijan e l’Armenia) al crocevia delle quattro grandi placche religiose e dunque politiche: cattolici, ortodossi, ebrei e musulmani. Cosa decisamente influente per l’interpretazione di questo lato del nostro mondo. Quando gli domando cosa pensi di un Mediterraneo-patria, tuttavia, si dimostra dubbioso: “una patria con arabi e islamici? Non la vedo cosa semplice. Tuttavia è vero che i contatti e gli scambi tra noi sono stati sempre così tanti…”. Ci ragiona. Forse per la prima volta.

“Certo, se guardo il cinema, convengo con te che il denaro e la finanza non generano comunità. Un tempo la cooperazione con l’italia ad esempio, era fortissima. Ai tempi del neorealismo soprattutto, che ha avuto un impatto fortissimo sulla nostra filmografia. Oggi meno. I soldi forse sono finiti…”. 

Anche lui, tuttavia, come tutti, alla domanda su come definirebbe il Mediterraneo, parte con la nota cantilena: sole, vino.. Io obietto che dovremmo superare quello stereotipo, non perché non sia vero. Ma poi convengo con lui che siamo anche quel che mangiamo, e non voglio provocare alcuna diatriba, ma ascoltare.

Quale sia la stella da seguire, il pilastro su cui costruire un nuovo modello mediterraneo, non lo so proprio. Non è domanda facile, cui dare risposta. Io penso che dobbiamo parlare, cercare la tolleranza. Però poi con l’Isis che facciamo? E con la Russia sul nostro fronte nord e in Ucraina? Abbiamo molti problemi. Non ho davvero idea di come si possa affrontare una situazione così complessa”.

Non è colpito dall’idea del Mediterraneo unito. Conviene sulla necessità di un modello. Non deve aver molto ragionato su questo. Restiamo un po’ incartati, il nostro dialogo si sfrangia un po’. Poi Lasha si riprende: “Io credo che dobbiamo smettere di guardare solo ai nostri problemi. Non resterà mai tempo, altrimenti, per accorgerci di quelli degli altri”.

Gli chiedo se non ci manchino un po’ i maestri, quelli che in passato ci indicavano la via. Non è d’accordo. “Non è più tempo per i Jean-Paul Sartre e i Pasolini. Nessuno può più avere quella influenza sulla gente. Ma in fondo è meglio. La gente deve lavorare, fare la propria strada. Il laboratorio devono farlo tutti, non avere un guru che indichi la soluzione dettando le regole”. Resto colpito da questa posizione, riferita da un intellettuale, ma forse qui gioca la ritrosia verso il recente schema dell’intellighenzia e della censura sovietica. Provo a girarci intorno ma con pochi risultati. “Anche io sento la mancanza di Pasolini, ma non ne avremo più così. Sia perché non ce ne sono, sia perché non ne abbiamo bisogno. I social network non possono sostituire quegli intellettuali. Ognuno deve trovare la rotta, seguire il suo orientamento. Non sono solo gli intellettuali a doversi alzare dalla sedia e andare con spirito d’avventura verso il proprio destino, tutti devono farlo, tutti devono combattere le avversità per affrontare la contemporaneità!”. Sono in netto disaccordo, e la sua posizione mi stupisce, ma registro quel che dice senza troppo obiettare. Soprattuto quando, con una battuta, chiude la nostra intervista: “Sai qual è il nostro problema? Mica la mancanza degli intellettuali. Il problema sono i visti! Non abbiamo visti per viaggiare in EU. Questo è un bel problema. Piccolo se vuoi, ma a volte queste cose contano come e più di quelle grandi. Magari con più visti possiamo parlare e capirci di più. Non so se avremo un Mediterraneo unito un giorno. Mi pare una cosa affascinante, ma difficile. Certo auspico che i popoli possano comunicare meglio. Ogni cosa è possibile. L’Europa ha una grande tradizione. Ma anche il Mediterraneo ce l’ha. Vedremo…”.