Leros-vicesindaco

 

 

(di Giuliana Rogano)

Lakki, isola di Leros – 11 giugno 2016

L’autunno scorso, navigando tra le isole dell’Egeo orientale, abbiamo incontrato centinaia, forse migliaia di migranti e rifugiati. Ogni mattina li vedevamo arrivare con i gommoni oppure sui motoscafi della guardia costiera greca che li aveva recuperati in mare. Quest’anno, già da fine aprile navighiamo ancora in questo mare, ma di migranti nessuna traccia. “Sono rinchiusi negli hotspot” ci rispondono quando chiediamo.

Arriviamo a Leros, a Lakki, isola in cui abbiamo visitato il centro di accoglienza UNHCR a fine ottobre 2015 e abbiamo parlato con una famiglia di siriani, che ci raccontarono la loro Odissea.

Ora in quel centro non c’è più nessuno. Cancello chiuso e dall’esterno si intravede un’area deserta e abbandonata. Solo girando a piedi tra le strade dell’isola, ogni tanto, capita di vedere qualche straniero. Ci fermiamo per salutarli e scambiare qualche parola. Ci indicano il “Camp” all’interno del quale stanno vivendo. E’ nell’area dell’ex ospedale psichiatrico, quell’area che ad ottobre abbiamo visitato con Iannis Lukas,  direttore del nuovo opsedale.

Entriamo, e lungo la strada, dopo aver camminato per circa 10 minuti, troviamo l’hotspot di Leros. Cordolo di cemento di 20 cm circa con pali di acciaio e rete metallica chiusa in alto da filo spinato, tutto nuovissimo. All’interno i prefabbricati e a fare da cuscinetto tra la zona dei prefabbricati e la recinzione, un ampio spazio occupato dalla polizia che, se ti avvicini, fa cenno di allontanarti e di non fare foto.

La storia si ripete. Storia di emarginazione. Un’area creata per i militari, poi destinata ai “matti”, ora ospita i migranti, i profughi, o come più correttamente dovremmo dire e chiamarli, quelle persone (che forse è l’unica definizione corretta) che erano qui a Leros il giorno dell’Accordo tra UE e Turchia e che da qui, per il momento, non possono andare né verso ovest né verso est. Come nei tanti tragici casi della Storia, c’è sempre qualcuno che rimane in trappola quando viene alzato un muro. Accadde a Berlino, in Israele, e ora anche qui.

A parte questa “condizione sospesa” sembra che la gente stia bene però, hanno vestiti, cibo e acqua, un tetto sopra la testa, le associazioni di volontariato presenti sul posto si occupano di loro e fanno giocare i bambini, possono uscire dal “Camp”. Li abbiamo visti passeggiare tra le strade di Lakki, nuotare, fare grigliate sulla spiaggia, un po’ di spesa nei market, parlare agli abitanti del posto, alcuni dei quali spesso offrono loro cibo e acqua (la generosità dei greci come sempre è ammirevole).

Per capirne qualcosa in più chiediamo di incontrare un rappresentate politico dell’isola.

Il giorno dopo il vice sindaco di Leros (uno dei due vice del sindaco perché in Grecia i vice sono 2) Ioannis Konstantinidis ci raggiunge a bordo di Mediterranea. Capelli brizzolati, pantaloni grigi e camicia a righe, si leva le scarpe e sorridente e tranquillo sale sulla passerella e si accomoda in dinette. Parla Ioannis, parla tanto, solo in greco, e il nostro amico Enzo ci fa da traduttore. Un fiume in piena, desiderio di raccontare della sua isola, di quello che sta accadendo qui, di come si sta comportando l’amministrazione locale.

“La Grecia sta vivendo un periodo difficile. Stiamo affrontando due grossi problemi; la crisi economica: non sappiamo oggi cosa sarà di noi domani, e la crisi dei migranti e dei rifugiati. E’ importante capire che questa crisi non è solo economica, ma anche e forse soprattutto sociale e politica”.

“Cosa succede qui? Cosa ne pensa dell’emergenza migranti e profughi?” chiediamo.

Abbiamo preparato un elenco di domande, ma dopo la prima, il nostro ospite prosegue quasi senza sosta, dandoci spontaneamente gran parte delle risposte.

“Qui a Leros, come in altre isole, i migranti sono sempre arrivati, più o meno sporadicamente, ma dalla scorsa estate il numero è aumentato in maniera esponenziale, centinaia al giorno e tutti i giorni. Da settembre è diventato un fenomeno assolutamente anomalo e ingestibile per noi. Una vera e propria invasione. Una doppia emergenza per noi se si considera la crisi preesistente dei residenti e l’opposizione politica che ci accusava di non saper difendere i cittadini e la loro isola. Ricevevo decine di telefonate dalla gente di Leros, che si era trovata con il cortile di casa occupato, per esempio, e non potevano più né entrare né uscire. Non sapevamo cosa fare. Eravamo soli ad affrontare l’emergenza. Eppure la notizia era nota. Né lo Stato né l’UE mostravano il minimo interesse. Nessun aiuto da parte loro in quei mesi. Solo i rinforzi per la Polizia e la Guardia Costiera.

Poi, dopo un po’, sono arrivati Medici senza Frontiere e UNHCR. Gli unici, nei mesi scorsi, ad aver dato assistenza e aiuto. Ci hanno chiesto uno spazio, uno spazio per loro e per le centinaia di persone che si trovavano qui e che continuavano ad arrivare. E noi abbiamo messo a disposizione la struttura dell’ex manicomio femminile e l’area antistante proprio qui, nel centro di Lakki. MSF e UNHCR hanno portato tende e cibo, e il comune di Leros si è occupato della fornitura di acqua, dei wc chimici e della raccolta della spazzatura. Poi un giorno, pochi mesi fa, è arrivata una commissione di 3 ministri greci e un rappresentante dell’UE e dopo aver visitato l’isola hanno detto: e perché non protestate? Grazie al cielo, Tsipras si è complimentato per il nostro lavoro e ci ha comunicato che i migranti e i rifugiati presenti al momento nell’isola si sarebbe dovuti spostare in altro luogo. Siamo arrivati così a marzo, quando è stato realizzato l’hotspot di Leros (così come a Lesbos, Chios, Samos e Kos), nell’area di Lipida, quella dell’ex manicomio, un area buona per loro e per noi. Ora i migranti sono lì, e non si vedono più in giro per l’isola.”

Lo osserviamo, sguardo sornione ma simpatico, e intuiamo nei suoi occhi una sorta di soddisfazione nel comunicarmi che Tsipras si era complimentato con l’amministrazione comunale dell’isola, per il loro lavoro e che avevano trovato un’area buona dove costruire l’hotspot. Per l’amministrazione di una piccola isola di soli 8.000 abitanti, gestire l’arrivo giornaliero di centinaia di persone disperate non deve essere stato facile (ne sono arrivate in tutto 50.000 fino ad oggi e l’acme si è raggiunto alla fine di ottobre dove erano presenti contemporaneamente in 1750, quasi uno a quattro con la popolazione, come se a Roma ci fosse un milione di profughi). Capiamo dunque il suo sollievo nel dire “non li vediamo più”.

Ioannis continua a raccontare.

“Con i soldi del Governo e dell’UE che finalmente sono arrivati abbiamo costruito i muri e le recinzioni e abbiamo montato i prefabbricati.”

“Ma la Grecia non è in crisi? Ha i soldi per fare questo?”

“Beh, noi cittadini le tasse continuiamo a pagarle”. Sorridiamo. “Il comune, anche in questo caso, si è occupato dei servizi e delle forniture. Abbiamo portato acqua ed elettricità nell’hotspot e ci occupiamo della pulizia dell’area. Sono stati stanziati 310 mila euro per questo. Il comune ha anticipato. Abbiamo usato i fondi destinati alla ristrutturazione di alcuni edifici dell’isola. Non ne avevamo altri. La UE ci ha restituito al momento 40 mila euro. Gli altri arriveranno”.

Beve finalmente il caffè che avevamo preparato.

“Abbiamo chiesto, però, in cambio, finanziamenti (tramite il programma ESPA) per poter realizzare nell’isola un dissalatore dell’acqua di mare, per poter acquistare camion per la raccolta rifiuti e idropulitori per le strade e per poter realizzare un impianto di compostaggio. Abbiamo poi già costruito un market sociale dove le persone povere dell’isola possano fare la spesa gratis, a turno, ma deve ancora entrare in funzione”.

Gli raccontiamo che a Samos, dove siamo stati con Mediterranea per tre settimane, quest’anno hanno registrato un calo delle prenotazioni del 50 per cento e che alcuni grandi alberghi hanno chiuso.

“Qui questo problema del turismo lo sentiamo di meno. Le isole però hanno chiesto alla Stato di non applicare l’aumento dell’IVA e il nostro sindaco è andato ad Atene per perorare la causa. Lo Stato ha anche promesso di promuovere il turismo interno rimborsando la metà del costo di una settimana di vacanza in una di queste 5 isole a tutti quelli che guadagnano meno di 12 mila euro l’anno. Questa promozione andrà in vigore il prossimo anno, però”.

Ci complimentiamo con lui e lo ringraziamo. Poi un’ultima domanda.

“Ne arrivano ancora?”

“Pochi, pochissimi. Qui a Leros non sono quasi mai arrivati in realtà. Arrivano a Farmakonisi, isola disabitata, con un presidio militare, a 11 miglia a nord-est di Leros, e la guardia costiera li porta qui. Ma ora abbiamo fatto un gemellaggio con la città di Meto Didim in Turchia proprio di fronte a Leros. Arrivano da li. E dopo il gemellaggio non arrivano più”.

“Ma non arrivano più anche nelle altre isole dopo l’accordo tra Turchia e UE, giusto?”

“Eh no. A Lesbos arrivano ancora. In numero minore ma arrivano. Da Izmir”

“Quanti sono ora nell’hot spot?”

“Poco meno di 400 e sono li da circa 3 mesi”

“E che fine faranno?”

“I rifugiati politici, i richiedenti asilo, quelli provenienti quindi dai paesi in guerra tra cui la Siria, dovrebbero essere portati in Europa, tutti gli altri rispediti in Turchia.”

E quanti sono tornati in Turchia?”

“Diciassette”

E in Europa? Quanti sono stati già trasferiti in Europa?” speriamo di ascoltare un numero significativo.

“Finora nessuno

Il pensiero corre alle famiglie e ai ragazzi che abbiamo incontrato in questi giorni, alla loro attesa e alla loro speranza di andare via, di ritornare ad essere uomini liberi, di scegliere, di decidere, di vivere, e per molti di loro di restituire ai figli un’infanzia dignitosa.

Grazie, Ioannis. Buon lavoro.