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(di Simone Perotti)

Ersi Sotiropoulos, è una bella donna, minuta, sexy non solo per la voce rauca e bassa. E’ una scrittrice sensibile, ha una storia travagliata e contrastata. Sembra uscita dalle pagine di un romanzo di Miller, più che dai vicoli del centro di Atene. “Io da piccola scappavo, non riuscivano a tenermi…”. Non doveva essere facile, all’epoca della giunta militare (’67-’74), venire da una famiglia borghese ed essere adolescente. “Mi ha salvata la poesia, altrimenti forse non sarei qui”. 

Ci vuoi raccontare Ersi? Prima tentenna, beve un sorso d’acqua fredda in questo pomeriggio che dal caldo vira alla sera, poi comincia, lentamente. “Sono nata a Patrasso, e scappavo, sempre, volevo smetterla con la scuola, con tutto. Erano solo degli imbecilli conservatori, non mi hanno insegnato niente. Volevano che mi mettessi la divisa, la gonna lunga fin qui, la camicia fin lì. Un preside mi accusò, all’adunata mattutina, di guardarlo dove era indecente guardarlo. Ma tu pensa che depravato, che pazzo. Io mi ribellavo, a tutto, alla giunta e alle sue regole sociali e politiche, alla famiglia, alla scuola. Mi hanno mandato dagli psichiatri, qui ad Atene, peggio di agenti della polizia, mi hanno riempita di farmaci che si danno a chi ha disturbi della personalità. Il tempo, la realtà, tutto si abbassava, quei farmaci mi uccidevano. Li sputavo, ma loro me li mettevano in bocca a forza. Sono stata torturata, di fatto, non posso definirle diversamente quelle cure”.

Ora capisco il volto intenso di Ersi, gli occhi acuti, mai perduti, eppure sprofondati, e la sua voce bassa, solida ma provata. “Volevo andare via, e all’esame di ammissione all’università ho preso il minimo del voto possibile. Ma niente, non mi facevano andare via, mi chiudevano in camera mia.

Poi lo scandalo. Avevo quindici o sedici anni e una relazione con un uomo di oltre quaranta, amico di famiglia. In due giorni, per la vergogna e per mettere tutto a tacere, ero in Francia”.

Donna coraggiosa, anticonformista, bastian contraria, originale, Ersi Sotiropoulos, che dalla scuola-collegio a Vance fugge, conosce un greco esule in Italia a Ventimiglia, rimane incinta, partorisce per contraddire la madre che la voleva far abortire. Poi vive a Firenze in piena contestazione, coabita nelle comuni, vive senza un soldo “ma piena di speranze. Vedevamo il cambiamento lì, davanti a noi, imminente. Eravamo certi che il mondo sarebbe cambiato”. Poi di nuovo Grecia, poi una borsa di studio nel Midwest americano, mentre va avanti a scrivere “scrivevo da quando avevo otto anni, e laggiù, nel nulla americano, insieme ad artisti e scrittori, c’era un’aria di creatività, si stava bene”. Penso alle atmosfere di Zabrinsky Point e Blow Up. “Avevo cominciato a pubblicare, in quegli anni. Erano ormai gli anni del mio romanzo “La Farsa” (1982), quando saliva al potere Papandreou e per una serie di circostanze fortunate ricevo l’incarico di consigliere culturale a Roma, dove all’inizio mi diverto anche, poi diventa un lavoro solo burocratico e me ne vado”.

Viaggia, Ersi Sotiropoulos, scrive, si risposa, fa una figlia, e la sua vita forse un poco si tranquillizza, pur restando per sempre un’anima in movimento, in eterna fibrillazione creativa. Sorridiamo e beviamo del vino, mentre da est sale un’aria serale fresca, le luci del giorno si abbassano, tra noi ora c’è una gioia solidale della comunicazione.

La Grecia è in grave difficoltà, ma non è colpa della crisi. Le cause sono tante, antiche. Chi dice che la Grecia va bene, come sento da tutte le parti, mente. Ci sono difficoltà enormi, gente che fruga nei cassonetti, che non riesce a pagare le tasse, che non sa come avere speranza. Poi, è vero che pullulano le attività culturali, i teatri anche in un appartamento, ragazzi che non hanno un euro che tornano a fare, a tentare, e poi cinque o sei cineasti giovani che fanno cose splendide, riescono ad andare oltre Angelopoulos”. Mi chiedo se crisi e creatività non vadano mano nella mano. Ma Ersi si irrigidisce. “Non credo. Capisco cosa dici, ma non è del tutto così. Era così nel passato? Se Joyce non avesse avuto chi lo manteneva sarebbe nato l’Ulisse? Pensa agli editori: devono vendere per sopravvivere, e allora non pubblicano ciò che meriterebbe, ma ciò che vende. Ecco che la crisi diventa un problema allora. E poi, se è vero che la gente fa, i giovani fanno, ma gli eventi che creano rischiano di restare isolati. La crisi è morale, l’altro, il nostro vicino, è diventato invisibile”.

Una visione in contrasto con quanto ho raccolto fin qui. Ma c’era da aspettarselo, Ersi è sempre dalla sua parte, ha un pensiero sempre diverso, come quando mi dice una cosa per me inaccettabile, che pure, tuttavia, comprendo: “La figlia della donna di servizio albanese che venne da noi per qualche tempo, doveva avere le sue scarpe di marca. Era una questione dignità per lei averle. Questo consumismo va capito con umanità, con compassione. E’ inutile dirci storie, la dignità ha a che fare anche con quelle scarpe di quella ragazzina, che poi va a scuola ed è diversa dagli altri, se non ce le ha”. Registro, comprendo quanta umanità c’è dentro questo pensiero, che è sbagliato, per me, per la mia visione del mondo, ma dà conto di una sensibilità che va oltre gli schemi ideologici. “Come fai a far capire a quella ragazzina che la sua dignità non risiede in un paio di scarpe? Impossibile…”.

Parliamo di politica. “Syriza, meno male che c’è, anche se vedo tanta volontà ma poca strategia politica”. Poi di Mediterraneo “Qui c’è qualcosa di atavico, ancestrale. Nei miei romanzi c’è sempre il mare. Il Mediterraneo, nonostante tutto, è ottimismo”. Ma esiste un modello attuale di Mediterraneo? “Penso di sì, ma come posso risponderti? Sei tu che me lo dirai alla fine del tuo viaggio. Nessuno potrà saperlo meglio di “Mediterranea”, ma dopo. Certo, io vedo tanta diversità nella scala dei problemi. Non pensare a Italia e Grecia, pensa a Grecia e Libia”. Poi di intellettuali “Non condivido quel che dice Koutsourelis. Gli intellettuali scrivono sempre di attualità, il mondo che finisce nei loro versi, nelle loro righe, è sempre attuale, è sempre un ragionamento sul mondo che li circonda. Un intellettuale, se lo è davvero, non può essere mai lontano dalla realtà, per definizione. Ad Atene ci sono almeno trenta riviste letterarie, come neppure in Francia o in Italia. Gli intellettuali, gli artisti, grazie al cielo, ci sono”.