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(di Simone Perotti)

“Se il Mar Nero e la Georgia abbiano o meno a che fare col Mediterraneo è domanda che suona come musica per le mie orecchie”. David Lordkipanidze è il Direttore del Museo Nazionale Georgiano, che non è solo un museo, ma un complesso progetto di architettura culturale, una sorta di ombrello sotto cui sono allineati dodici musei, strutture, attività. Tutto opera sua, cioè di quest’uomo sobrio, blasé, ma al contempo chic, con una certa nobiltà nell’espressione e nei modi.

Un uomo colto e decisamente internazionale, come avrò modo di verificare più tardi, a microfono spento, quando farà da Cicerone per le sale del museo chiuso, solo per noi.

“Le concordanze e le connessioni tra la Georgia e il Mediterraneo, l’Europa, partono da molto lontano, ben prima dei genovesi. Giasone parte per la Colchide, che come dice Strabone un po’ troppo prosaicamente era terra di oro, ferro, argento, dunque territorio ricco. In realtà la Colchide era una meta mitica per la nave Argo. E il mito greco ci investe, è stato una grande promozione per noi, una sorta di grande campagna di relazioni pubbliche firmata Argonauti”.

Parla fluentemente, in modo garbato ma fermo, perifrastico per non ledere mai alcun suo potenziale ascoltatore immaginario, ma certamente chiaro. “I Greci erano scopritori, mercanti, ma erano dei colonizzatori culturali molto forti. I Romani ci hanno influenzato meno, anche se qui passarono e stettero, e lasciarono molte vestigia della loro grande civiltà”.

Ma cosa c’entra un Paese caucasico con il Mediterraneo? “E’ una questione d’identità” e questa invece è musica per le mie di orecchie. “Il nostro passato, anche medioevale non solo ellenistico, ci lega al Mediterraneo. Ma soprattutto il futuro! Noi siamo connessi col Mediterraneo, ma questo va capito attraverso la cultura, il disvelamento di molti misteri dell’antichità, tutti da studiare. Per questo ci serve un grande lavoro comune, unificare gli sforzi”. Tornerà molto su questo punto, che deve stargli molto a cuore. Tra l’altro nel suo sforzo archeologico e paleontologico, Lordkipanize lavora molto con ricercatori e professori italiani.

“Qui abbiamo trovato un homo erectus di un milione e ottocentomila anni. Un uomo che aveva deciso di muoversi dall’Africa e iniziare un viaggio lunghissimo fino alla fine del mondo. Quel viaggio avrebbe popolato il pianeta fino alla Terra del Fuoco passando per l’Asia e l’Alaska, allora collegate. E la sua prima tappa euroasiatica è qui, dove infatti il suo viaggio si biforca: un itinerario lo porta in Europa e uno verso Levante. Non è affascinante tutto questo? Non possiamo dire certo che sia il primo uomo, altri ritrovamenti verranno fatti, ma certamente è il primo erectus europeo e asiatico, una scoperta straordinaria”. Lordkipanize si eccita nel racconto, ama quello che fa.

“Qui l’agricoltura ha mosso i suoi primi passi. Qui crescevano 500 vitigni diversi, è nato probabilmente il vino. Questo far parte della mezzaluna fertile, anzi, essere il suo vertice superiore rivolto all’Europa ci collega a molte civiltà europee e mediterranee”.

Ci spiega che l’archeologia era coloniale in passato, solo i Paesi ricchi potevano permettersela. Oggi tutto è cambiato, anche grazie alla cooperazione della comunità scientifica.

“Per me questa appartenenza del Mar Nero al Mediterraneo sa di sorriso, cultura, relazioni. Ma soprattutto idee e valori. Quando tu dici che abbiamo perso l’orientamento e il modello mediterraneo non c’è più, io penso a questi elementi”. Gli chiedo come possiamo fare “per recuperare la Trebisonda”, tanto per rimanere geograficamente in tema. “Dobbiamo chiedere a noi stessi. Siamo stati un po’ spogliati dei nostri valori, ma non è lamentandoci che risolveremo i nostri problemi. Il futuro è nella connessione tra lavoro, ricerca, ma soprattutto nella curiosità. Sai perché mi piace moltissimo Progetto Mediterranea? Perché voi non siete stati lì a pontificare o tergiversare, avete preso e siete salpati”. Piccolo momento d’orgoglio, non tanto per i complimenti ma per l’invocazione all’azione che mi ècara da sempre.

“Il punto è l’avventura! Dobbiamo tutti partire come Giasone per connetterci con il mondo intorno a noi. Non ci sono soluzioni sulle isole…” registro con un pizzico di emozione.

“Noi possiamo anche fare i professori che danno informazioni nelle aule dell’università, ma non è molto utile. Quelle informazioni sono disponibili dovunque. La cultura è una combinazione di arte e scienza, e richiede l’avventura. La ricerca non è raccontare storie, ma partire e andare”.

Gli chiedo di dirmi però come si possa fare, come si possa recuperare o meglio costruire un nuovo modello mediterraneo.

“La questione è quella delle priorità, certamente. E’ cruciale che le istituzioni siano basate sulla conoscenza. Ricerca ed educazione, queste sono le parole chiave. Mi chiedo sempre: siamo nel posto-chiave, come uomini di cultura? Ecco, dobbiamo creare posti dove incontrarci, parlare. Credo nella comunità internazionale del sapere” Quasi le stesse parole che mi disse Murat Belge a Istanbul.

Provo a chiedergli di più, una critica all’inerzia e all’inazione di molti intellettuali. Mi sorride e in francese mi dice che si è fatto tardi. Accetto la sua conclusione. Ottimo incontro.