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“I greci la chiamavano Selene, forse per la forma a falce di luna della costa..” (da “L’equilibrio della farfalla” di Simone Perotti – Ed. Garzanti, 2012)

 

Quando pensi alla Liguria, ti viene in mente una striscia di terra sottile, a strapiombo sul mare, e ne disegni i paesi arroccati e colorati, immersi e dispersi nel profumo di basilico. E già ti piace. Poi scopri una cucina che non dimentichi e un vino che ha il sapore del mare, e allora capisci che inerpicarti su per quelle strade strette, inseguendo gallerie e corridoi d’asfalto, è stata la cosa migliore che potessi fare. Liguria è mare. Liguria è sapori. Liguria è il nostro Mediterraneo. 

 

 

Una storia difficile quella dei liguri, in un territorio difficile, che spesso negava anche il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Il continuo destruente alternarsi di scorribande e conquistatori e la non semplice comunicazione tra le diverse parti del territorio hanno dato ai liguri quella nota di diffidenza che li rende guardinghi e diffidenti di fronte a tutto ciò’ che viene “da fuori”, oltre quei confini così ben demarcati dall’asperità di una lingua di terra che precipita nel mare. Ma l’innata spinta verso l’esterno e la ricerca del diverso e dell’insolito hanno portato Genova e i liguri lontano, ai confini del Mondo. La Liguria racconta tante storie. Storie bellissime, nate in una terra restia, limitata nell’offerta dei suoi prodotti, e storie affascinanti di un mare prodigo e ricco di pesci, ma costellato di pericoli e minacce. Le abitudini alimentari della popolazione si sono quindi formate sulle solide basi della resistenza e del sacrificio: la focaccia e la farinata, cibi di strada, oggi cìbi preziosi, frutto della tradizione, nascono infatti da materie prime poverissime. Eppure, la ricerca dell’ignoto ha dato alla cucina ligure gli sfarzi e le ricchezze derivanti dalla supremazia di Genova sulle altre Repubbliche Marinare. Il mondo diventava sempre più piccolo mentre la Liguria annetteva alla tradizione della sua cucina ingredienti pregiati, esotici e sconosciuti. Ad eccezione dell’olio di oliva e delle erbe aromatiche, tutti gli altri ingredienti che la cucina ligure ha messo in tavola nel corso dei secoli, vengono da lontano, da mondi lontanissimi, “oltre confine”. E’ stato così per la pasta, per gli ortaggi, per il pesce conservato e -addirittura!- per il pesto e le altre salse da mortaio. Il grano duro di ottima qualità arrivava via mare dalla Russia e dal Nord Africa e la pasta che se ne ricavava, trovava, nelle diverse altitudini del territorio, il clima adatto per l’essiccazione. Lo sviluppo del commercio delle spezie portò sotto la Lanterna materie pregiate da confettare e da candire, per renderle meno pungenti, più appetibili e meno deperibili. I principali ingredienti del Pandolce Genovese ( finocchio, uvetta, pinoli, cedro candito..) provengono direttamente dal Mar Mediterraneo orientale. E poi il pesce conservato! Le acciughe, pescate, nei mesi più caldi, venivano selezionate ed accuratamente salate, per essere poi consumate poi durante i lunghi viaggi in mare. Ancora oggi, la salagione e conservazione delle acciughe segue antiche metodiche tradizionali. Nel Cinquecento, i Genovesi furono tra i primi ad acquistare il merluzzo salato (baccalà) dei banchi di Terranova, che i Portoghesi portavano in Europa dal Nuovo Mondo e più tardi nell’Ottocento, fecero incetta dei merluzzi più pregiati, pescati nel Mare del Nord e conservati per essiccazione (stoccafisso), in un percorso gastronomico secolare che arriva fino ai nostri giorni. E i vini? I vini sono il territorio. Il Pigato meraviglioso della Riviera Ligure di Ponente, così come il Vermentino della denominazione di Colli di Luni, particolarmente pregiato e di livello, soprattutto nel terroir di Castelnuovo di Magra. E poi lo Sciacchetrà, dalla personalità straordinaria nella versione “passito”, ma altrettanto interessante e di garbo nella versione “fermo”. E poi i preziosi vini della minuscola denominazione delle Cinque Terre, che vanno semplicemente onorati, non fosse altro che per l’immenso dispendio energetico umano in vigneti che richiedono a chi vi lavora requisiti d’arte acrobatica e caparbietà eccezionali. I vini rossi, al contrario, ci lasciano un po’ perplessi, perché leggeri e di medio corpo e troppo distanti dall’eleganza del Vermentino. Da questa osservazione, però, ritorna l’insopprimibile istinto ligure di andare a cercare “oltre” per portare “dentro”: stanno nascendo vitigni a base Grenache e Syrah, varietà “mediterranee” con esiti incoraggianti. Aspettiamo.