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“..a percepire sé stessi come interpreti che ricevono un testimone per ritrasmetterlo a propria volta..” (Pietro Mastroberardino)

La storia di una famiglia. Una famiglia che E’ anche un vino e di un vino che E’ il territorio nel quale nasce: l’Irpinia. Piccola parte di una splendida regione, la Campania, piena di mare e di sole, e con un cuore nascosto di terra fertile e preziosa. L’Irpinia non è come te l’aspetti. E’ diversa. Ed è bellissima. 

Il taglio austero e spigoloso dei suoi profili montuosi, il cielo spazioso, che sembra più alto del vero, il ritmo lento della vita quotidiana. Napoli è lì, a poco più di mezz’ora di macchina, ma l’orizzonte del mare, il frastuono ed i richiami delle sue genti sono lontani, quasi in un altro continente.

 

Tanti paesi, piccoli e operosi, si susseguono senza soluzione di continuità, uno dopo l’altro. In uno di essi, Atripalda, batte il cuore del vino del Sud Italia: la cantina Mastroberardino.

Qui, in questo luogo, fare vino è diventata una missione. Nel grande cortile dell’azienda è passata l’umanità più varia e variabile. Antonio Mastroberardino, tempo fa, la raccontava questa umanità. Qui, tra le enormi botti, hanno dormito gli sfollati del terremoto del 1980. Qui i braccianti delle vendemmie sciamavano al tramonto nei giorni della raccolta. Qui i soldati tedeschi, in fuga dopo il 25 aprile, hanno sparato ai giganteschi tini, colmi di mosto in fermentazione. E le fontane, zampillanti vivido liquido rosso improvvisamente emerse, raccontavano la fine di una guerra odiosa e odiata. 

Storia rocambolesca di una terra segnata da immense forze naturali, il Vesuvio e il terremoto, e costantemente attentata dalla facile umana autodistruzione. In Irpinia si è vissuto di viticoltura per almeno due secoli, poi dopo il 1930, dopo aver già devastato le vigne d’Europa e d’Italia, è arrivata la Fillossera. E subito dopo, appena pochi anni, la Guerra. Devastazione, fuga e abbandono delle terre vocate al vino. La via maestra, come si dice, quasi mai è la più breve. 

Ma la guerra, quella per la vita, data dalla fame e dalla disperazione, non era ancora finita. I contadini cominciarono a spiantare le viti di Greco, di Fiano e di Aglianico, vitigni autoctoni, del territorio, ma bisognosi di cure e attenzioni, “perché il Trebbiano produce di più, è più facile e più generoso” dicono. Lotta per la fame, dunque, significava sacrificio dei vini tradizionali, a meno che…a meno che qualcuno non decidesse di affrontare il rischio di continuare a produrli, a valorizzarli, a distribuirli. 

I Mastroberardino si fecero promotori di questa scelta coraggiosa. Recupero di varietà estinte, zonazione capillare dei territori, difesa dei valori tradizionali. 

Esiste un testimone di queste battaglie, di questa guerra infinita contro la Natura e contro la Storia: il Taurasi. Dal 1986 si chiama Radici ed è la proclamazione di un’idea, una dichiarazione del territorio. E’ il vino più rappresentativo della famiglia Mastroberadino. Nella sua severa classicità, nella sua costanza, nel suo variegato ventaglio espressivo, il Taurasi rappresenta il cammino del vino in Irpinia. L’annata “1928” racconta un mondo che ormai non conosciamo più, un mondo che segue il passo del tempo e il tempo trascorso nella coerenza non è mai un tempo passato, non è mai un tempo perduto. Bevete un sorso di Taurasi, fatelo scivolare sul palato e aspirate profondamente con il naso: vi parlerà e saranno parole con radici che affondano nella Storia.